La scuola italiana è di qualità grazie a don Lorenzo Milani

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Settembre segna per milioni di ragazzi la fine delle vacanze e l’inizio della scuola: 7.881.838 studenti, tra elementari, medie e superiori, rispetto agli 7.878.661 alunni dello scorso anno, tornano sui banchi scolastici a leggere e scrivere: la nostra ‘scuola’ come sta?

Il recente rapporto dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha sottolineato, nella sua relazione annuale ‘Uno sguardo sull’istruzione 2014’, come le difficoltà occupazionali dei giovani italiani rischiano di compromettere gli investimenti nella scuola e nell’università. L’Ocse ci restituisce l’immagine di un Paese in cui si passa da una scuola pre-primaria e primaria di ottima qualità a una scuola secondaria mediocre, fino ad arrivare a un’educazione universitaria e post universitaria di qualità ancora troppo carente. In Italia, nel 2012, quasi un giovane su 3 fra i 20 e i 24 anni (32%) non studiava né lavorava, il 10% in più che nel 2008.

Nello stesso anno nei Paesi Bassi la percentuale dei Neet (Not in education, employment or training) era appena del 7%, in Austria e Germania dell’11%. Sempre nel 2012, in Italia, il 14% dei diciassettenni aveva abbandonato la scuola, contro una media Ocse del 10%. L’Ocse però dà un encomio al nostro paese per la qualità dell’istruzione di base: nonostante i tagli alla scuola, si spiega nel rapporto, l’Italia è riuscita a diminuire da uno su tre a uno su quattro il numero dei quindicenni in grave difficoltà in matematica (siamo gli unici ad aver ottenuto un tale passo avanti, insieme a Polonia e Portogallo), e al contempo ad aumentare il numero di quindicenni nella fascia più alta di competenze. Invece l’Italia raggiunge punte di eccellenza nell’istruzione preprimaria, con il 92% dei bambini di tre anni iscritti alla scuola per l’infanzia (la media OCSE è del 70%), percentuale che aumenta addirittura al 96% per i bambini di quattro anni.

Questa qualità scolastica è dovuta alla tenacia di don Lorenzo Milani, come ha ricordato lo scorso 10 maggio nell’incontro con gli studenti papa Francesco: “Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. E questo è bellissimo! Nei primi anni si impara a 360 gradi, poi piano piano si approfondisce un indirizzo e infine ci si specializza. Ma se uno ha imparato a imparare, è questo il segreto, imparare ad imparare!, questo gli rimane per sempre, rimane una persona aperta alla realtà! Questo lo insegnava anche un grande educatore italiano, che era un prete: don Lorenzo Milani”.

A cavallo tra gli anni ’50 e ’60 don Lorenzo Milani fu ‘mandato’ a Barbiana, dove iniziò un’esperienza educativa rivolta ai giovani di quella comunità che, anche per ragioni geografiche ed economiche (tutti figli di contadini ed operai), erano fortemente svantaggiati rispetto ai coetanei di città, e fu resa famosa grazie ad un libro di scrittura collettiva, la famosa ‘Lettera ad una professoressa’, scritta dagli studenti della scuola, che spiegava i principi della scuola di Barbiana e al tempo stesso costituiva un atto d’accusa nei confronti della scuola tradizionale, definita ‘un ospedale che cura i sani e respinge i malati’, in quanto non si impegnava a recuperare e aiutare i ragazzi in difficoltà, mentre valorizzava quelli che già avevano un retroterra familiare positivo, esemplificando questo genere di allievi con il personaggio di ‘Pierino del dottore’ (cioè Pierino, figlio del dottore, che sa già leggere quando arriva alle elementari).

La prima volta che lo lessi a 13 anni, costretto da mia madre, le dissi che era banale perché tutte queste cose ‘raccontate lì’ le avevamo. Dopo un po’ di tempo (primi anni universitari) lo rilessi e pensai che era una ‘bomba rivoluzionaria’. Oggi (quasi cinquantenne e padre di figli) l’ho ripreso in mano ed ho riscoperto la sua potenza ‘profetica’ alla libertà di pensiero e di parola. Dopo 50 anni la scuola italiana, guardando le statistiche OCSE, ha ancora un problema, sottolineato già allora da don Lorenzo Milani: “La scuola ha un problema solo: i ragazzi che perde”.

Ecco cosa i ragazzi scrivevano nella ‘Lettera ad una professoressa’, stimolati dal motto milaniano ‘mi sta a cuore’: “Sandro aveva 15 anni. Alto un metro e settanta, umiliato, adulto. I professori l’avevano giudicato un cretino. Volevano che ripetesse la prima per la terza volta. Gianni aveva 14 anni. Svagato, allergico di natura. I professori l’avevano sentenziato un delinquente. E non avevano tutti i torti, ma non è un motivo per levarselo di torno. Né l’uno né l’altro avevano intenzione di ripetere. Erano ridotti a desiderare l’officina.

Sono venuti da noi solo perché noi ignoriamo le vostre bocciature e mettiamo ogni ragazzo nella classe giusta per la sua età. Si mise Sandro in terza e Gianni in seconda. E’ stata la prima soddisfazione scolastica della loro povera vita. Sandro se ne ricorderà per sempre. Gianni se ne ricorda un giorno sì e uno no. La seconda soddisfazione fu di cambiare finalmente programma. Voi li volevate tenere fermi alla ricerca della perfezione.

Una perfezione che è assurda perché il ragazzo sente le stesse cose fino alla noia e intanto cresce. Le cose restano le stesse, ma cambia lui. Gli diventano puerili tra le mani… Gianni non sapeva mettere l’acca al verbo avere. Ma del mondo dei grandi sapeva tante cose. Del lavoro, delle famiglie, della vita del paese. Voi coi greci e coi romani gli avete fatto odiare tutta la storia. Noi sull’ultima guerra si teneva quattro ore senza respirare.

A geografia gli avreste fatto l’Italia per la seconda volta. Avrebbe lasciato la scuola senza aver sentito rammentare tutto il resto del mondo. Gli avreste fatto un danno grave. Anche solo per leggere il giornale. Sandro in poco tempo s’appassionò a tutto. La mattina seguiva il programma di terza. Intanto prendeva nota delle cose che non sapeva e la sera frugava nei libri di seconda e di prima. A giugno il ‘cretino’; si presentò alla licenza e vi toccò passarlo.

Gianni fu più difficile. Dalla vostra scuola era uscito analfabeta e con l’odio per i libri. Noi per lui si fecero acrobazie. Si riuscì a fargli amare non dico tutto, ma almeno qualche materia. Ci occorreva solo che lo riempiste di lodi e lo passaste in terza. Ci avremmo pensato noi a fargli amare anche il resto. Ma agli esami una professoressa gli disse: ‘perché vai a scuola privata? Lo vedi che non ti sai esprimere?’ Lo so anch’io che il Gianni non si sa esprimere. Battiamoci il petto tutti quanti.

Ma prima voi che l’avete buttato fuori di scuola l’anno prima. Bella cura la vostra. Del resto bisognerebbe intendersi su cosa sia lingua corretta. Le lingue le creano i poveri e poi seguitano a rinnovarle all’infinito. I ricchi le cristallizzano per poter sfottere chi non parla come loro. O per bocciarlo. Voi dite che Pierino del dottore scrive bene. Per forza, parla come voi. Appartiene alla ditta”.

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