Meeting di Rimini: abbiamo lasciato soli gli uomini

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Il Meeting dell’Amicizia tra i Popoli ha chiuso i battenti della Fiera di Rimini tracciando il filo rosso delle testimonianze dei cristiani perseguitati nel mondo, aperto domenica scorsa dal custode di Terra Santa padre Pierbattista Pizzaballa, con Paul Jacob Bhatti, presidente dello Shahbaz Bhatti Memorial Trust, Pakistan; mons. Ignatius Kaigama, arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza Episcopale della Nigeria; il giornalista Domenico Quirico; mons. Shlemon Warduni, Vescovo Ausiliare del Patriarcato di Babilonia della Chiesa Cattolica dei Caldei, Iraq.

Il fratello di Shahbaz Bhatti ha ringraziato tutti coloro che lo sostengono, specialmente l’Azione Cattolica (che lo ha aiutato negli anni in cui ha studiato in Italia) e la Comunità di Sant’Egidio, eppoi ha raccontato le difficoltà della vita di credenti in Pakistan, ma anche la determinazione di non arrendersi alla violenza portando avanti l’opera di Shabhaz:

“Quando mi è stato chiesto di diventare Ministro dopo la morte di mio fratello, come è d’uso in Pakistan ho chiesto a mia madre di darmi il permesso per accettare l’incarico. E non credevo che lei fosse d’accordo: Shabhaz è stato ucciso a pochi chilometri da casa, lei aveva sentito gli spari e vissuto un dolore fortissimo. Invece pregammo insieme, e poi mi disse che il modo migliore per ricordare Shabhaz era portare avanti il suo impegno”.

Ha ricordato le difficoltà dei cristiani: “In Pakistan attualmente i cristiani vivono una situazione molto difficile perché tutto il paese è instabile: oltre ad aver avuto due guerre con l’India, l’invasione sovietica,  ora il nostro paese lotta contro il terrorismo insieme agli occidentali. In questo clima instabile sono nati alcuni gruppi estremisti che nelle scuole fanno il lavaggio del cervello ai bambini che imparano così una ideologia anticristiana. Di conseguenza si è formato in una parte della popolazione, non tutta, una forte odio verso i cristiani”.

Infine ha invitato a non dimenticare i cristiani che stanno soffrendo per la loro fede, specialmente Asia Bibi: “Noi non possiamo dimenticare chi sta soffrendo a causa della sua fede, sia Asia Bibi che tanti altri. Allo stesso momento, desideriamo che Dio ci aiuti a portare la pace e la convivenza pacifica tra le altre religioni. Non possiamo dimenticare anche le figure di un’altra fede, tipo Salmaan Taseer, che si è battuto per i cristiani, sapendo di essere minacciato di morte per la difesa di Asia Bibi, ma l’ha accettato. Ci sono anche quelle figure che vanno ricordate. E la speranza è che un domani, mantenendo le diverse fedi, si possa portare pace e una convivenza pacifica nel mondo”.

Anche mons. Kaigama ha fatto una denuncia: “Tutti i Paesi occidentali hanno abbandonato e dimenticato i cristiani della Nigeria, uccisi e minacciati dal gruppo terrorista di Boko Haram. L’unico a ricordarsi di noi è rimasto Papa Francesco”. Ha ricordato la situazione in cui vivono i cristiani sotto Boko Haram: “E’ una situazione dolorosa perché Boko Haram sta avanzando verso Sud, mentre negli Stati nord-orientali viviamo sotto i continui attacchi dei terroristi.

Questa organizzazione terroristica è una minaccia molto grave per la sicurezza della Nigeria, anche perché i suoi guerriglieri dispongono delle armi provenienti dalla Libia. Il governo nigeriano ha bisogno della collaborazione internazionale per rispondere a Boko Haram”.

La stessa grave denuncia di dimenticanza è stata lanciata da mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare del patriarcato di Babilonia dei Caldei: “L’Europa e l’America hanno fatto due guerre contro un solo nemico, Saddam Hussein, e adesso che in Iraq abbiamo non uno ma migliaia di nemici l’Occidente non muove un dito”. Ha raccontato il clima che si sta respirando nella capitale irakena: “A Baghdad non siamo tranquilli. I rapimenti e le esplosioni di autobombe sono continue, e c’è una grande paura di un arrivo dello Stato Islamico. Tutto l’Occidente deve prendere sul serio quanto sta avvenendo in Iraq, perché l’intenzione del Califfato è quella di occupare il mondo intero a cominciare da Roma”.

Ed infine ha ribadito molto vigorosamente di non lasciare soli i cristiani nel Medio Oriente: “Da due mesi non c’è una preghiera cristiana a Mosul, e l’Occidente in tutta risposta sta dormendo. Non basta accogliere alcuni rifugiati irakeni in Europa, ciò che occorre è risolvere il problema alla radice. I membri dell’Is vanno cacciati e le nazioni che li riforniscono di armi e di altri mezzi vanno punite”.

Queste testimonianze sono state corredate da una serie di reportage sui cristiani nel mondo come l’ultimo reportage di Gian Micalessin ‘Maaloula, l’ultima trincea’, per il ciclo ‘Storie dal mondo’ a cura di Roberto Fontolan e dello stesso autore. E’ il 3 settembre 2013 e da due settimane gli abitanti vivono incollati alla tv, da quando il 21 agosto c’è stato il lancio di armi chimiche nei quartieri fuori dal centro, controllati dai ribelli. Micalessin e il suo accompagnatore Saaman Daoud raggiungono i quartieri insieme all’esercito governativo di Assad.

Là è un’altra storia, la stessa di ogni paese in guerra: case sventrate, palazzi esplosi, sangue sui muri bucati, silenzio rotto solo dalle pallottole dei cecchini, macerie che nascondono le temibili Ied, le mine improvvisate capaci di far saltare un autocarro. Si teme per la sorte di Maaloula, il villaggio che da due giorni è preda degli jihadisti, ‘Maaloula è morta’ dice Saaman. Lui e Micalessin vi si dirigono con i governativi. Maaloula è un borgo aggrappato a una montagna di pietra chiara, luminosa. Nelle fenditure racchiude i monasteri di Santa Tecla e dei Santi Sergio e Bacco.

Gli jhiadisti lo hanno assaltato, cacciato i soldati di Assad, ucciso a sangue freddo tre cristiani e ora stanno nascosti dietro la statua della Madonna da dove sparano. Il gruppo con Micalessin riesce ad arrivare a Santa Tecla. Fuori gli spari, dentro le suore recitano i vepri. Stanno bene e l’unica cosa che il gruppo può fare è accettare una benedizione insieme all’immaginetta della santa e andarsene. Le suore rimangono. Oggi Maaloula è un villaggio fantasma. L’altro monastero, quello dei Santi Sergio e Bacco, è distrutto.

Quando Fontolan chiede a Daoud cosa significhi oggi essere cristiani in Siria, lui risponde: “Siamo vasi di coccio tra vasi di ferro. Purtroppo la sensibilità in Europa è diminuita. Voi dovete svegliarvi, avete aiutato le persone sbagliate. Non esiste un islam moderato, esiste il vero islam che riconosce l’altro. Occorre distinguere il vero musulmano da quello estremista”.

Infatti da anni il Meeting va nelle periferie grazie anche all’intuizione di don Luigi Giussani, che ha scoperto le periferie del cuore dell’uomo, come ha sottolineato il prof. Mauro Magatti, docente di Sociologia Generale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano: “Il mio incontro con alcuni di voi è nato da una scoperta curiosa: nel mio lavoro di sociologo mi sono accorto che molte categorie che ho usato per l’analisi della cultura in cui viviamo, don Giussani le aveva già usate nella sua proposta educativa.

Mi sono domandato come fosse possibile che un umile prete avesse potuto generare questo movimento che è nato dal nulla… Don Giussani ha saputo cogliere in profondità e in anticipo sui tempi l’evoluzione antropologica verso cui andava la società italiana degli anni Cinquanta. Il benessere, associato alla democrazia e allo sviluppo dell’istruzione portava a una grande emergenza dell’io: l’esperienza della libertà disponibile per milioni di persone…

Don Giussani è l’erede di una grande tradizione di umanità e con Cl negli ultimi cinquant’anni ha dato una risposta concreta al bisogno di uno spazio umano dove incontrare l’esperienza cristiana”. A conclusione del Meeting è stato letto il comunicato finale, in cui è stato annunciato il tema del prossimo anno, che si terrà dal 23 al 29 agosto 2015: ‘Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?’, in cui la presidente Emilia Guarnieri ha sottolineato che il Meeting ha incontrato le periferie attraverso i suoi testimoni:

“Molte storie, molte diverse circostanze, che però hanno avuto un comune denominatore, hanno mostrato il potere del cuore. Il cuore dell’uomo che è libero e in grado di riconoscere l’essenziale. Andare verso le periferie, incontrare le periferie, è la modalità attraverso la quale possiamo riconoscere sempre di più questo essenziale, possiamo vivere quella presenza talmente importante che senza di essa la realtà non avrebbe significato.

Ed è questo che ci permette di essere interessati a tutto, a qualsiasi aspetto della vita… Il Meeting parla al cuore di ogni uomo contemporaneo con un linguaggio alla portata di tutti, un linguaggio che segna l’inizio di nuovi rapporti e di una storia che continua”.

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