Uisp: portare il calcio nelle periferie

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Come sappiamo tutti, Carlo Tavecchio, che alcuni giorni dopo la sua elezione ha scelto quale Commissario Tecnico della Nazionale di calcio italiana, dopo la debacle mondiale, Antonio Conte, è stato eletto presidente della Federazione Italiana Gioco Calcio alla terza votazione, con 310 preferenze (63,63%), mentre Demetrio Albertini si è fermato al 33,95% (165 voti). Sono state 12 le schede bianche (2,42%), 22 i non votanti e 487 i voti espressi (quorum a 244).

Però, a pochi giorni dall’avvio della nuova stagione calcistica le settimane estive non sono state molto entusiasmanti per lo sport più amato dagli italiani, aperto dalla ‘disfatta’ della nazionale italiana ai mondiali brasiliani e proseguita dalla ‘bagarre’ all’interno della stessa Federazione e dalle parole dello stesso presidente sulla vicenda dei giocatori stranieri, tantochè l’Uefa ha aperto un’inchiesta disciplinare sulle sue ‘presunte’ frasi razziste.

Queste situazioni sono state commentate negativamente dall’Unione Italiana Sport per Tutti (UISP), che ha l’obiettivo di promuovere lo sport come un bene che interessa la salute, la qualità della vita, l’educazione e la socialità e quindi meritevole di riconoscimento e di tutela pubblica:

“Lo sport per tutti interpreta un nuovo diritto di cittadinanza, appartiene alle ‘politiche della vita’ e, pur sperimentando numerose attività di tipo competitivo, si legittima in base a valori che non sono riconducibili al primato dell’etica del risultato, propria dello sport di prestazione assoluta… L’unica differenza che combattiamo è quella che nasce dalla disuguaglianza sociale, dalla mancanza di pari opportunità”.

In base a tale assunto il presidente nazionale dell’associazione, Vincenzo Manco, ha criticato questa elezione: “Un sistema autoreferenziale e refrattario al confronto con la società difficilmente produce l’innovazione della quale ci sarebbe bisogno per guardare a testa alta il futuro e l’Europa. L’Italia si conferma il Paese delle banane, prima le poltrone e poi i programmi. Se mai verranno. Il calcio italiano perde un’occasione importante per autoriformarsi e di dare un chiaro segnale di cambiamento.

Restiamo convinti  che lo sport può e deve riprendersi quel ruolo di esempio civico, di stampo popolare per rendere il calcio uno sport, un gioco aperto a tutti e per tutti. Il gioco del calcio è ancora oggi uno strumento attraverso cui si emancipano percorsi, narrazioni, culture popolari… Siamo convinti che il calcio italiano ha tante realtà che svolgono una grande funzione sociale nelle periferie delle città e nel rapporto con le proprie comunità. E’ auspicabile pertanto che sempre di più siano esse in futuro ad avere voce nei programmi della federazione”.

E sulla debacle italiana e la vittoria della Germania ai recenti Mondiali di calcio l’UISP ha fatto notare che Boateng è ghanese, Mustafi albanese, Khedira ha origini tunisine, Klose e Podolsky polacche: “La Germania campione del mondo è una squadra multietnica, specchio dello Stato. Figli di migranti, patriottici, hanno dimostrato come un insieme così variegato possa essere una macchina perfetta. E in Italia? Beh, in Italia le cose vanno diversamente.

In Italia lo ius soli non esiste: in Italia non è cittadino originario chi nasce sul territorio dello Stato, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori. In Italia, come spiega il sito del ministero dell’Interno, la legge 91 del 1992 indica il principio dello ius sanguinis come unico mezzo di acquisto della cittadinanza a seguito della nascita, mentre l’acquisto automatico della cittadinanza iure soli continua a rimanere limitato ai figli di ignoti, di apolidi, o ai figli che non seguono la cittadinanza dei genitori…

Il tesseramento di calciatori minori stranieri, per esempio, è una prassi esageratamente complessa, che richiede un sacco di documenti. Tra l’altro, rispetto al passato s’è fatta ancora più rigida. Leggi come la Bossi-Fini hanno girato il coltello nella piaga. E poi ci sono i tempi biblici della burocrazia italiana per il riconoscimento della cittadinanza italiana una volta maggiorenni. Tutto questo trambusto per preservare una presunta purezza mai realmente esistita”.

Ma ci sono federazioni italiane che cominciano ad aprire agli stranieri: come la boxe, o il cricket, il secondo sport più praticato al mondo. I giocatori di cricket nati in Italia da genitori stranieri possono rappresentare la nazionale azzurra anche se non hanno la cittadinanza o se vi risiedono da almeno 7 anni (da 4 se vogliono giocare nella formazione giovanile): sono considerati italiani ben prima della legge dal 2003, quando la Federazione italiana di cricket è stato il primo organismo sportivo a riconoscere parità di diritti agli atleti per nascita.

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