Nostalgia e delusione

Condividi su...

“Nostalgia”, dall’etimo greco nòstos, ritorno, e algia, algos, dolore, è “desiderio acuto di tornare a vivere in un luogo che è stato di soggiorno abituale e che ora è lontano”. Quando assume forma patologica, si chiama “nostomania”. “Delusione”, dal latino deludere (ludus cioè gioco), è prendersi gioco, rendere vane le speranze. Il termine esprime il sentimento di amarezza di chi vede che la realtà non corrisponde alle sue speranze. La nostalgia, che invoca speranza realizzata, e la delusione, che contiene amarezza di disperanza, insieme intessono il vissuto quotidiano dell’uomo all’interno dello scorrere del tempo.

Il pensiero greco percepisce il tempo come realtà statica, quasi senza valore, per cui la storia è proiettata fuori di esso: il cosmo è guardato essenzialmente come natura. Tutto ciò che dice tempo è considerato come realtà negativa che cammina verso l’invecchiamento e conduce alla morte. Il tempo è visto come privazione dell’eternità. Tutta quanta la storia è considerata come un continuo ripetersi di cicli chiusi, così come avviene per il movimento degli astri.

Platone considera il tempo come immagine mobile dell’eternità. Aristotele lo concepisce come movimento in relazione di priorità e di posterità che passa e tutto distrugge. Nei suoi Ricordi, Marco Aurelio così scrive: «Sempre su per giù troverai le medesime cose di cui sono piene le antiche storie e le recenti, di cui sono piene le città e le case; nulla di nuovo, sono sempre le solite effimere cose». È questo l’amaro mito dell’eterno ritorno! Circolo chiuso in cui l’uomo è legato in una maledetta schiavitù; unica salvezza per l’uomo è liberarsi dal tempo.

Solo il mito può esorcizzare la storia servendo come modello ai comportamenti umani. Esso è visto come «storia vera che è avvenuta agli inizi del tempo e che serve da modello ai comportamenti degli uomini. Imitando gli atti esemplari di un dio o di un eroe mitico, o semplicemente raccontando le loro avventure, l’uomo delle società arcaiche si stacca dal tempo profano e si ricongiunge magicamente al grande tempo, al tempo sacro» (M. Eliade, Miti, sogni e misteri, Rusconi, Milano 1976).

L’eterno ripetersi delle cose è celebrato nella raccolta di racconti che portano il titolo di Nòstoi, I Ritorni, tra i quali certamente il più famoso è il poema omerico Odissea. In essa, l’autore descrive Ulisse che cerca in Itaca il reinserimento nelle proprie radici. Egli è come l’eroe che, compiuto il suo lungo viaggio, ritorna al luogo di partenza in preda a un’amara, invincibile nostalgia. In questa concezione pessimistica, l’uomo è visto come l’individuo incatenato e trascinato dall’eterno ciclo che ricomincia da capo senza mai compiersi; tutto ciò impedisce ogni progresso personale e sociale. Il tempo, così immaginato, è configurato al kronos, il mostro spaventoso che divora e inghiotte uomini e cose. Nasce da qui la struggente nostalgia del ritorno e del tempo mitico delle origini che comporta “disincarnazione” dalla realtà e partecipazione all’eternità del tempo sacro degli inizi, riprodotto dal culto attraverso la celebrazione dei suoi riti segnati dai cicli cosmici. Anche Virgilio, nella sua IV Egloga, riferendosi alla concezione ciclica del tempo, celebra l’età aurea nel ritorno alle origini.

La Bibbia, invece, vede il tempo e la storia come “epifania” di Dio che ha nostalgia dell’uomo e, all’interno del tempo e dello spazio, entra in dialogo con la creatura, sua immagine e somiglianza. Costruisce con lui la storia, anzi, al culmine dei tempi, Egli stesso diviene storia: nel rivelarsi agisce e nell’agire si rivela.

Il tempo ha un arké e un télos, un inizio e una fine, è una spirale proiettata verso l’éschaton: il fine ultimo di Dio. In questo fluire orientato verso la fine, Cristo è il punto centrale dell’incontro di Dio con la sua creatura. La nostalgia si spegne e diviene incontro d’amore unico, irrevocabile, definitivo. Il tempo, così, non si oppone all’eternità, ma è carico d’eternità perché è un presente teso verso un avvenire di cui già possiede la realtà. Abramo, non come Ulisse, abbandona per sempre Ur di Caldea e si mette in cammino verso la terra che Dio gli darà. Si sa che il pensiero cristiano è maturato anche dentro il solco della filosofia greca, ma bisogna de-ellenizzare l’impianto della vita spirituale. Alla nostalgia senza Dio, la Bibbia oppone la speranza dell’attesa che culminerà nel pieno possesso di Dio.

Il primo segno della nostalgia di Dio verso l’uomo si trova in quel grido: Adamo, dove sei? Il cuore del Creatore è in cerca dell’uomo perduto! Il secondo grido è nel simbolo nuziale che troviamo, per esempio, in Osea, nel Cantico dei Cantici, nell’Apocalisse. Nell’Antico Testamento, la sposa è Israele e lo Sposo è Dio. Nel Nuovo Testamento, la sposa è la Chiesa e lo Sposo è Cristo. È Dio che, in un impeto d’amore, perdona Israele, sposa infedele, e gli offre riconciliazione e ricostruzione. Il simbolo nuziale non è statico, ma possiede l’immagine dinamica del cammino: Dio in cerca dell’uomo. Israele è l’adultera chiamata a conversione. Tornare a Dio significa ritrovare l’alleanza perduta e la concretezza dei doni: la terra promessa, la città santa, la prosperità e la fraternità. La nostalgia dell’amore di Dio per l’uomo è il tema fondamentale della Bibbia, l’asse portante su cui ruotano fatti e detti. Creazione e storia sono gli ambiti su cui l’amore di Dio ha esercitato la sua efficacia e la sua sempre nuova fedeltà.

Nel Salmo 136, ogni versetto è scandito dall’antifona: perché eterno è il suo amore per noi. Israele mette sotto il segno dell’amore divino ogni tappa della propria storia e ogni struttura della creazione. Dio è sempre in cerca dell’uomo e lo incontra all’interno della sua storia, concreta, particolare, personale e comunitaria. Storia e creazione in cammino dicono insieme che l’amore di Dio è sempre particolare e universale dentro l’immensa fraternità del genere umano e del cosmo. In questa ricerca paterna e amorosa non c’è nulla di casuale, perché tutto è nostalgia-ricerca come dono gratuito di purissimo amore. La gratuità si consolida in eterna fedeltà: l’amore offerto una volta è così donato per sempre (cf Dt 7,7-8).

Dio ricerca l’uomo perché questi è infedele. La fedeltà divina non è né auto-coerenza psicologica né correttezza giuridica. Essa è pura tenerezza che dice coinvolgimento interiore e partecipazione personale a quanto succede all’amato. La tenerezza sfocia nella misericordia, cioè nella volontà di perdono. La mancanza di gratuità e di perdono rivela indifferenza ed esprime lo stato d’animo di chi perde la luce e la gioia della speranza e affonda nell’amarezza della delusione. L’amore di Dio è esigente, vuole una risposta decisa, totale, incondizionata e accende la nostalgia d’amore per il Dio dell’Amore. Nella Rivelazione biblica, Dio si presenta come l’agente, mentre l’uomo è il termine dell’azione divina e, perciò, il re-agente. L’azione dell’uomo rimane, perciò, dentro l’azione di Dio.

Ci sono due termini che definiscono l’amore: eros e agape. Il primo dice l’amore umano per Dio, il secondo definisce l’amore divino per l’uomo. Eros è la forza che trascina l’uomo verso Dio, agape è la parola che rivela il grande amore che Dio ha donato in Cristo Gesù. Platone, nel suo Il Convito, scrive una splendida pagina sull’eros. Nella cornice del banchetto platonico, l’uomo, attraverso le cose belle, s’innalza alla bellezza divina per riceverne pienezza di felicità. Nel Banchetto giovanneo, Dio, nel Figlio Gesù, si abbassa sino all’uomo per lavargli i piedi, il gesto di servizio che non cerca felicità, ma chiede ripetizione. Nella sua prima lettera Giovanni afferma che Dio è Agape (4,8), rivelazione di quello che Egli è in sé stesso e per noi. L’agape invoca la pistis come risposta di fede all’amore di Dio che si traduce nell’agape verso l’uomo.

“Nostalgia”: desiderio ardente e doloroso. “Delusione”: tradimento nelle aspettative della speranza che suscita sentimenti di sconforto e di amarezza. Gli uomini, a volte, per darsi delle ragioni di vita, si creano illusioni che poi diventano delusioni. L’illusione è la pretesa di elevarsi al di sopra del proprio limite. L’illusione dell’orgoglio corrode l’intelligenza, sporca il cuore e imbratta le mani dell’uomo. La nostalgia di raggiungere qualcosa, se non è speranza realizzata, si deforma in delusione.

La delusione di Dio è il peccato dell’uomo. Dio resta deluso perché, dalla sua vigna curata e coltivata, si aspettava uva buona e gustosa anziché acerba (cf Is 5). La delusione dell’uomo è invece il castigo che il peccato porta con sé, ma è anche il luogo della salvezza. È proprio lì che il figlio prodigo prende coscienza dell’insostituibilità della casa paterna. La lontananza è delusione. La nostalgia è attesa d’amore. Il padre ama sempre il figlio e di continuo lo aspetta. Il suo amore “soffre” e perciò attende il ritorno. Il padre non soffre perché il figlio ha sciupato il patrimonio, ma perché esce da casa e si allontana dal suo cuore. Per perdonarlo, gli basta che il figlio si ravveda, abbia la nostalgia del ritorno per riabbracciare il padre. L’attesa del padre non è illusione che genera delusione, ma speranza di un ritorno che è fonte di gioia e di vita per l’amore ritrovato.

Free Webcam Girls
151.11.48.50