Emergenza Ebola in Sierra Leone: AVSI in prima linea

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Nei giorni scorsi Fondazione AVSI ha lanciato una raccolta fondi per far fronte all’epidemia di ebola in Sierra Leone con l’obiettivo di prevenire la diffusione del virus nel Paese africano, con interventi di informazione e sensibilizzazione delle comunità colpite e attività di contact tracing, cioè di individuazione delle persone con cui i malati sono entrati in contatto e che quindi potrebbero aver contratto la malattia.

Però gran parte della popolazione della Sierra Leone non si fida delle misure adottate dalle autorità e sono ancora in molti ad evitare di prendere contatto con i medici in caso di sintomi da ebola, a fuggire dagli ospedali non appena la diagnosi è confermata, a nascondere le persone infette nelle case e nei villaggi, aumentando così il rischio di contagio e la diffusione dell’epidemia:

“Spesso la diffusione di messaggi informativi non basta, serve una presenza costante fra la gente, in grado di sfondare il muro della diffidenza e della paura”, ha affermato il responsabile per AVSI in Sierra Leone, Nicola Orsini.

Perché si è diffuso nuovamente il virus dell’ebola?
“Il virus Ebola si presentò per la prima volta nel 1976 nella Repubblica Democratica del Congo; negli anni 90 e nel 2000 si diffusero nuove epidemie in africa centrale (Uganda, Sudan). Quello diffusosi in questi mesi in Africa Occidentale è un nuovo ceppo: fino ad ora, non si era mai verificata un epidemia di Ebola in queste aree (anche se nel 1994 il virus venne identificato nei cadaveri di alcuni scimpanzé in Costa d’Avorio).

Il virus sembra essere ospitato da alcuni tipi di scimmie, mentre alcune specie di pipistrelli sono state identificate come portatrici sane. Moltissime popolazioni rurali dei paesi colpiti mangiano abitualmente carne di scimpanzé (anche di animali già morti), ma probabilmente è sufficiente ingerire un frutto mangiato da un pipistrello portatore del virus per essere contagiati. Quindi, sebbene il virus non si fosse mai presentato in queste aree, esisteva comunque il rischio di contrarre la malattia fra le popolazioni che non seguono nemmeno le più semplici norme igieniche”.

Quale è la gravità del fenomeno in Sierra Leone?
“In Sierra Leone il virus è molto diffuso: insieme alla Liberia è il paese più colpito, con il maggior numero di casi confermati (775 casi e almeno 326 morti secondo le statistiche dell’OMS aggiornate al 19 agosto). Inizialmente l’epidemia era diffusa solo nell’est del paese (al confine con i villaggi della Guinea in cui l’epidemia ha avuto inizio), in particolare nel Distretto di Kailahun.

Purtroppo ora ci sono casi di persone infette in diverse aree del paese. Ma al di là della preoccupante diffusione del virus e del numero di persone contagiate, la situazione nel paese è resa grave dalle conseguenze dell’epidemia. Si è infatti creato un clima di paura e di panico tra la popolazione che rende difficile anche la vita quotidiana:

non ci si stringe più la mano, si cerca di evitare contatti soprattutto con persone sconosciute, gli orari di apertura dei luoghi pubblici come uffici e banche sono stati ridotti, nuove regole per il trasporto pubblico (per limitare il numero di persone su taxi e altri mezzi di trasporto), aumento dei prezzi dei beni di prima necessità.

Alcune di queste misure sono conseguenza della dichiarazione dello stato di emergenza, resasi necessaria vista la difficoltà nel contenere l’epidemia. Alcuni distretti, in particolare i più colpiti sono stati messi in quarantena, solo personale medico può entrare e uscire; vi sono posti di blocco con militari, polizia e infermieri che provano la temperatura corporea dei passanti su tutte le strade principali del paese. Come mi diceva il mio collega ‘sembra di essere tornati ai tempi della guerra’.

Si sta creando come un circolo vizioso: l’epidemia si espande e le misure messe in atto per limitarla sono sempre più pesanti e creano paura e diffidenza tra la popolazione (la fuga dei pazienti dagli ospedali è un refrain presente fin dall’inizio dello scoppio dell’epidemia). I controlli alle frontiere sono maggiori, diverse compagnie aeree hanno interrotto i loro voli nei paesi e di conseguenza crescono i prezzi dei beni di prima necessità, peggiorando ancora di più le condizioni della popolazione, soprattutto nei villaggi più colpiti dal virus”.

L’epidemia ha avuto origine nello scorso febbraio: perché si è intervenuti così tardi?
“L’epidemia è iniziata in Guinea a febbraio, ma il primo caso confermato in Sierra Leone non si è presentato prima del 25 maggio. Per quanto riguarda la Sierra Leone, probabilmente questi tre mesi hanno indotto il governo e il paese a pensare di poter essere al sicuro.

La Sierra Leone, così come gli altri paesi colpiti, non era pronta ad affrontare una situazione del genere: non vi sono servizi adeguati, né personale preparato per rispondere ad una emergenza sanitaria di questo tipo, né tantomeno una educazione sufficiente a limitare i contagi (basti pensare all’assenza delle più banali norme igieniche tra le popolazioni colpite o alle pratiche tradizionali di sepoltura dei cadaveri o ancora alle credenze tribali e alla diffidenza verso le strutture sanitarie).

Dunque sottovalutazione dell’epidemia e mancanza di organizzazione e preparazione da parte dei governi sono state incrementate dalla mancanza di attenzione da parte della comunità internazionale che si è interessata del problema solo quando è stato paventato il rischio di contagio in Europa.

Solo da quel momento è iniziato un aiuto più consistente ai paesi coinvolti, ma a questo punto, come dicevo la situazione è più difficile perché estesa a gran parte delle popolazioni dei paesi e non più solo ad alcuni villaggi”.

Ci potrebbe essere qualche rischio che il virus si diffonda in Europa?
“Il rischio che l’epidemia si diffonda in Europa è molto basso. Nonostante il periodo di incubazione della malattia sia piuttosto lungo e dunque sia maggiore la possibilità che una persona infettata si sposti da un Paese all’altro, bisogna ricordare che il contagio non può avvenire durante il periodo di incubazione.

Inoltre le misure di controllo, prevenzione e cura nei paesi sviluppati sono tali da limitare moltissimo il contagio e la diffusione del virus. Se dovesse arrivare una persona infetta in un paese europeo verrebbe subito isolata e non sarebbe difficile risalire alle persone con cui è entrata in contatto per bloccare sul tempo una eventuale diffusione del virus.

Il caso della Nigeria può essere d’esempio per comprendere queste dinamiche: questo paese, non certo sviluppato come quelli europei, ha ‘importato’ una persona affetta dal virus che ha viaggiato in aereo verso Lagos: i 12 casi confermati nella città sono tutti parte di una singola catena di trasmissione. Bisogna inoltre ricordare che la diffusione della malattia in Africa Occidentale è dovuta principalmente a fattori che in Europa sono quasi assenti (mancanza di cura e igiene sia personale che negli ospedali, mancanza di organizzazione e carenza nei controlli e nei servizi)”.

Cosa sta facendo Avsi per aiutare la popolazione?
“In Sierra Leone AVSI opera in campo educativo sin dal 2000. Non avendo personale medico a disposizione nel Paese, per far fronte all’emergenza Ebola AVSI, attraverso il suo partner locale, il Family Homes Movement, sta mettendo in atto campagne di sensibilizzazione della popolazione locale soprattutto a Freetown e nel distretto di Tonkolili.

Fondazione AVSI ha lanciato una raccolta fondi in Italia proprio per far fronte a questa emergenza: i fondi saranno destinati ad attività di informazione e sensibilizzazione nel paese per far comprendere alla popolazione le cause della malattia, come prevenirla e quali pratiche mettere in atto in caso di contagio. Le attività, svolte in coordinamento con il Ministero della Sanità sierraleonese, le altre ONG e la società civile sono fondamentali per limitare il rischio di contagio e soprattutto per infondere nella popolazione fiducia e speranza”.

Chi vuole contribuire economicamente all’opera di Avsi, può fare un versamento con bonifico a: Fondazione Avsi, causale Emergenza Ebola in Sierra Leone, Credito Valtellinese, Sede Milano Stelline, Corso Magenta 59 IBAN: IT04D0521601614000000005000.

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