Benedetto Chieffo: canto la presenza di mio padre

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Ricorre in questi giorni il settimo anniversario della morte del cantautore Claudio Chieffo. E proprio in questi giorni sarà presentato al Meeting di Rimini – l’ultimo palcoscenico che ha calcato, esattamente un anno prima – il cd del suo secondogenito, Benedetto, che contiene 14 brani di cui 9 mai incisi prima su disco, tra cui La sorgente, l’ultima canzone composta da Claudio qualche mese prima di morire. Non solo un “omaggio”. Ne abbiamo parlato proprio con Benedetto.

Come nasce questo disco? Quando e perché “Benedetto” ha deciso di cantare “Chieffo”?

“Ho sempre cantato, fin da bambino, ma non pensavo di salire su un palcoscenico. In Italia e nel mondo ci sono molti figli di cantanti che cantano le canzoni dei padri, e sono spesso osteggiati e considerati ‘inutili’ da certi critici superficiali, che, prima ancora di ascoltarli, li giudicano. Ho tenuto il mio primo concerto tre mesi dopo la morte di mio padre. Non è stata una mia iniziativa, un centro culturale di Bologna mi ha invitato a farlo e mi è piaciuto molto. È piaciuto molto anche al pubblico. Poi sono arrivate tante richieste, allora ho dovuto mettermi a studiare canto. Il disco è nato in un modo simile: quando mio padre era ancora in vita mi ha chiesto di registrare le canzoni che non era riuscito ad incidere. Inizialmente ero mosso principalmente dalla volontà di rispondere a un suo desiderio, poi il desiderio è diventato mio. Ci sono certe canzoni di mio padre bellissime, che hanno sentito solo in pochi e tanti anni fa, ma che desidero possano conoscere tutti: ecco perché ho deciso di cantare Chieffo”.

 

Dal progetto iniziale alla realizzazione finale cosa è cambiato?

“Mio padre aveva preparato una tracklist intitolata New America Project, un disco da realizzare con il suo amico David Horowitz, poi però alcuni provini di quel progetto sono finiti nel libro-cd La notte che ho visto le stelle. A quel punto non aveva senso rifarle. Ci ho lavorato a lungo e ho modificato la tracklist facendo sia alcune delle canzoni ‘nuove’ previste da lui, sia re-incidendo alcune canzoni che lui tanti anni fa aveva già registrato. Anche i musicisti sono cambiati nel tempo: sono andato in sala di registrazione solamente quando ho trovato quelli con cui ero realmente in sintonia: tutti giovani e in gambissima”.

 

Come hai scelto le canzoni da inserire?

“Il disco è il frutto di tre anni della mia vita, ogni canzone dice e illumina qualcosa che ho vissuto sulla mia carne o che ho condiviso nella compagnia a un amico: penso alle canzoni d’amore (Ritorno, Vorrei, Il vento), a quelle nate nel dolore di un’amicizia che sembra perdersi ma che non si perde perché Chi l’ha generata ci ‘spinge ad andare lontano’ (Lontano, Campo verde, I gesti, He is here), a quelle che ridanno speranza quando la morte sembra essere l’ultima parola (Gloria, La sorgente). Ho scelto canzoni che parlano al mio cuore adesso e quindi possono parlare ad altri”.

 

“He is here”. Come vivi il rapporto con tuo padre?

“Mio padre è morto, non è più presente come prima, mi manca, eppure quello che attraverso le sue canzoni ha dato e continua a dare ora a me, a mio fratello e a mia sorella e a tutti gli altri suoi fratelli e figli (credo siano migliaia) è la testimonianza della presenza di Dio nella nostra vita: la famosa carezza del Nazareno auspicata da Jannacci. Il titolo del disco, che è il titolo di uno degli inediti effettivamente vuole essere polisemico… He is here, Egli è qui: è qui mio padre, in un certo senso, perché è qui Chi ci dà tutte le cose, è qui con la Sua carezza. Questo disco è la Sua carezza, una carezza che può dare forza”.

 

Cosa hai scoperto di te e di tuo padre in questo lavoro? Come ti ha cambiato?

“Confrontarmi così tanto con la sua musica, lavorare insieme a Paolo Forlani sugli arrangiamenti mi ha permesso di riscoprire la bellezza di alcuni brani che io stesso avevo dimenticato, di comprenderne la struttura e il senso, di stare ancora in compagnia di mio padre, di conoscerlo meglio. Questo lavoro è stato l’occasione non solo per farmi dire da mia madre come erano nate alcune canzoni, ma soprattutto per interrogarmi sull’origine della certezza di mio padre e su quella della mia speranza. Mi son dovuto chiedere in cosa credo davvero. Non ho cantato ‘col pilota automatico’. Tutte le canzoni sono prima di tutto per me e sono diventate mie. Non posso fare finta di non avere toccato la bellezza della sua esperienza cristiana, non posso fare come se non ci fosse. O meglio, posso farlo ma so che non è quello che desidero davvero. ‘La vita che voglio è una vita vera’ (Una vita), ho sempre desiderato fare cose grandi, non accontentarmi della mia meschinità. Anche se il più delle volte sono meschino, ho scoperto e vivo che la Misericordia, ovvero l’amore di Dio, è presente per me, ogni istante: e questo è più pacificante. Sono felice di aver contribuito con questo disco al lavoro di mio padre: ho partecipato ad una cosa più grande di me e l’ho servita. La coscienza di questo mi rende un po’ orgoglioso”.

 

Come hanno reagito tua mamma e i tuoi fratelli quando hai deciso di lavorare a questo disco?

“Sono stati contenti e molto rispettosi della mia libera scelta di interpretarle. Noi tutti desideriamo che l’opera di Claudio Chieffo sia sempre più diffusa e conosciuta. Questo disco è uno strumento per questo, ma non è l’unica strada: ne stiamo considerando altre”.

 

Gaber e De Gregori: sono due degli artisti a cui Claudio ha dedicato una canzone. Cosa dice questo del suo (e del tuo) modo di vivere la musica?

“In Desire mio padre cantava ‘tutta la musica è una strada di luce che porta a Te, amico mio. È come un fiume luminoso che porta al mare di Dio. Come vorrei venire anch’io, come vorrei’. Per lui e per me, la musica era questo. Il pittore americano William Congdon gli disse una volta: ‘Ricorda che una canzone o è una finestra aperta sul Mistero o è solo rumore’. Le canzoni di Gaber (al quale è dedicata Canzone del melograno) sono realmente una finestra aperta sul Mistero e anche molte di De Gregori (al quale è dedicata La nave). Nella sua vita mio padre ha conosciuto moltissimi musicisti (oltre ai due citati, per dirne solo alcuni, penso a Mark Harris, David Horowitz, Bruno Lauzi, Guccini, Finardi, Bersani, Ron, Nek, Vinicio Capossela) e quando questi avevano il cuore aperto accadeva un incontro, nasceva un dialogo, come una tappa di quella strada di luce”.

 

Tuo padre non amava essere indicato come cantautore “cattolico”. La musica di Claudio deve in qualche modo “affrancarsi” da questa etichetta o credi che questo aggettivo possa indicarne il valore vero?

“Il problema delle etichette è che diventano fattori discriminanti: ‘Ah, questa è musica religiosa… non mi interessa’. Sì sono religiose, ma perché il cuore dell’uomo è religioso: è posseduto dal desiderio struggente di un significato. Un orecchio attento alla musica può essere colpito dalla sua bellezza, dalla bellezza originale della melodia delle canzoni, ma quello che di mio padre colpisce di più tutti, anche i non credenti seri, come Giorgio Gaber, è la sua sincerità, la sua semplicità: quello che mio padre canta è credibile, quindi diventa un suggerimento, un abbraccio. Ci si sente abbracciati nella propria umanità, nel proprio desiderio di felicità, nel proprio bisogno di speranza. Ci si sente abbracciati e rilanciati nella vita, e mai giudicati. In questo senso Claudio Chieffo è ‘cattolico’, nel senso di universale, perché parla al cuore di tutti”.

 

Che orizzonte progettuale apre per te questo lavoro, in termini professionali e personali?

Io sono un insegnante di scuola media e il mio lavoro mi piace tantissimo, inoltre ho illustrato alcuni libri per ragazzi e ne ho in cantiere altri. Continuerò a insegnare italiano, a illustrare libri e a cantare le canzoni di mio padre per chi me lo chiede finché mi sarà possibile, perché l’unico modo perché la musica accada è suonarla. Sicuramente desidero con i miei fratelli, con mia madre e con chi vorrà aiutarci, promuovere e diffondere l’opera di Claudio Chieffo. Ci sono ancora molte altre canzoni inedite, scritti, interviste, poesie, concerti, fotografie che sarebbe bello rendere fruibili, ma dobbiamo trovare la strada più adatta. Il mio disco è una iniziativa in questo senso, ma non è l’unica: l’editore Galletti Boston sta pubblicando gli spartiti di tutte le canzoni; inoltre per il 70° della nascita di Claudio (9 marzo 2015) il suo amico pianista Flavio Pioppelli sta organizzando un grande evento musicale nella città di Forlì. Ci auguriamo di annunciarne presto tante altre: nel 2017 saranno dieci anni dalla sua morte e chissà…”

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