Le sfide del secolarismo nel discorso del Papa ai Vescovi dell’Asia

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E’ ancora quella del martirio l’immagine che fa da cornice all’incontro di Papa Francesco con i Vescovi dell’Asia, in questo terzo viaggio apostolico del Papa all’estero. Il Santuario di Haemi è, infatti, il luogo dei “martiri sconosciuti”; quelli registrati sono circa 132, mentre per la maggior parte di loro non se ne conosce l’identità. Numerosi i cattolici giustiziati per aver aderito al cristianesimo, molti dei quali vennero seppelliti vivi durante la persecuzione del 1868. All’ingresso del Santuario Papa Francesco viene accolto dal Rettore e accompagnato all’interno della Chiesa, dove ad attenderlo vi sono tutti i vescovi provenienti dall’Asia.

L’Arcivescovo di Bombay e Presidente della Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia (FABC), il cardinale Oswald Gracias, all’inizio dell’incontro saluta il Pontefice, descrivendo brevemente la realtà e le sfide della Chiesa presente nel continente asiatico. “L’Asia – afferma mons. Gracias – è un continente che sta sperimentando le speranze e le gioie di una costante rinascita nello Spirito. Il 60 per cento della popolazione mondiale vive in Asia. E’ un continente giovane, in cui la maggioranza della popolazione è giovane. Di conseguenza, in molti modi l’Asia è davvero fondamentale per il futuro del mondo ed il futuro della Chiesa. La globalizzazione ha avuto un forte impatto e ha portato nuove sfide alla Chiesa. La popolazione asiatica è religiosa per natura, e tuttavia si sta insinuando uno spirito secolarista e materialista. Il tessuto familiare, un tempo considerate così importante e profondamente radicato nella società asiatica, si sta progressivamente sfaldando. E ancora, mentre l’anima asiatica considera la vita sacra, crescono le minacce alla vita che sono per molti versi inquietanti. L’asiatico cerca e apprezza la comunità. Adesso anche questo sta subendo l’impatto di un forte individualismo”. “La Corea – conclude Gracias – è una terra in cui i laici hanno svolto un ruolo speciale nell’evangelizzazione e, per questo, diventa un modello per molte delle nostre Chiese. Ci auguriamo di essere toccati dalla passione contagiosa della Chiesa coreana, quando torneremo nelle nostre diocesi”.

Papa Francesco, rivolgendosi all’episcopato asiatico, sottolinea l’esigenza di una Chiesa versatile e creativa nella testimonianza del Vangelo, aperta al dialogo verso tutti. Il punto di forza essenziale per intraprendere il cammino del dialogo è l’identità del cristiano. “Non possiamo – afferma il Pontefice – impegnarci in un vero dialogo se non siamo consapevoli della nostra identità. E, d’altra parte, non può esserci dialogo autentico se non siamo capaci di aprire la mente e il cuore, con empatia e sincera accoglienza verso coloro ai quali parliamo. […] Se vogliamo comunicare in maniera libera, aperta e fruttuosa con gli altri, dobbiamo avere ben chiaro ciò che siamo, ciò che Dio ha fatto per noi e ciò che Egli richiede da noi. E se la nostra comunicazione non vuole essere un monologo, dev’esserci apertura di mente e di cuore per accettare individui e culture”.

Lo spirito del mondo è però capace di intralciare il cammino della fede, manifestando il suo fascino in modi diversi. Tre, in modo particolare, sono le sfide della secolarizzazione sottolineate dal Papa. La prima riguarda il relativismo, “l’abbaglio ingannevole del relativismo – precisa Papa Francesco –, che oscura lo splendore della verità e, scuotendo la terra sotto i nostri piedi, ci spinge verso sabbie mobili, le sabbie mobili della confusione e della disperazione. È una tentazione che nel mondo di oggi colpisce anche le comunità cristiane, portando la gente a dimenticare che «al di là di tutto ciò che muta stanno realtà immutabili; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli» (Gaudium et spes, 10; cfr Eb 13,8). Non parlo qui del relativismo inteso solamente come un sistema di pensiero, ma di quel relativismo pratico quotidiano che, in maniera quasi impercettibile, indebolisce qualsiasi identità”.

La seconda sfida, che minaccia la solidità dell’identità cristiana, riguarda la superficialità, quella tendenza – sottolinea Papa Francesco – “a giocherellare con le cose di moda, gli aggeggi e le distrazioni, piuttosto che dedicarsi alle cose che realmente contano (cfr Fil 1,10). In una cultura che esalta l’effimero e offre numerosi luoghi di evasione e di fuga, ciò presenta un serio problema pastorale”. Anche i ministri della Chiesa devono stare attenti! Il Pontefice, infatti, ricorda che la “superficialità può anche manifestarsi nell’essere affascinati dai programmi pastorali e dalle teorie, a scapito dell’incontro diretto e fruttuoso con i nostri fedeli, specialmente i giovani, che hanno invece bisogno di una solida catechesi e di una sicura guida spirituale. Senza un radicamento in Cristo, le verità per le quali viviamo finiscono per incrinarsi, la pratica delle virtù diventa formalistica e il dialogo viene ridotto ad una forma di negoziato, o all’accordo sul disaccordo”.

Terza tentazione è l’apparente sicurezza di nascondersi dietro risposte facili, frasi fatte, leggi e regolamenti. “La fede per sua natura non è centrata su se stessa, la fede tende ad «andare fuori». Cerca di farsi comprendere, fa nascere la testimonianza, genera la missione. In questo senso, la fede ci rende capaci di essere al tempo stesso coraggiosi e umili nella nostra testimonianza di speranza e di amore”. Il cristiano si distingue nell’impegno ad adorare Dio e ad amare gli altri, “di essere – sottolinea il Pontefice – al servizio gli uni degli altri e di mostrare attraverso il nostro esempio non solo in che cosa crediamo, ma anche in che cosa speriamo e chi è Colui nel quale abbiamo posto la nostra fiducia (cfr 2 Tm 1,12)”. “E’ la fede viva in Cristo che costituisce la nostra identità più profonda. È da questa che prende avvio il nostro dialogo, ed è questa che siamo chiamati a condividere in modo sincero, onesto, senza presunzione, attraverso il dialogo della vita quotidiana, il dialogo della carità e in tutte quelle occasioni più formali che possono presentarsi”.

L’identità del cristiano è feconda, essa – prosegue Papa Francesco – “nasce e si nutre della grazia del nostro dialogo con il Signore e degli impulsi dello Spirito, essa porta un frutto di giustizia, bontà e pace”. Poi, il Papa, pone ai vescovi presenti una domanda: “L’identità cristiana delle vostre Chiese particolari appare chiaramente nei vostri programmi di catechesi e di pastorale giovanile, nel vostro servizio ai poveri e a coloro che languiscono ai margini delle nostre ricche società e nei vostri sforzi di alimentare le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa?”. C’è bisogno di un dialogo autentico ed empatico, e la capacità di saper ascoltare l’altro e cogliere persino la comunicazione non detta della propria esperienza di vita. “Tale empatia – dice Papa Francesco – dev’essere frutto del nostro sguardo spirituale e dell’esperienza personale, che ci porta a vedere gli altri come fratelli e sorelle, ad «ascoltare», attraverso e al di là delle loro parole e azioni, ciò che i loro cuori desiderano comunicare. In questo senso, il dialogo richiede da noi un autentico spirito «contemplativo» di apertura e di accoglienza dell’altro”. Cresce così una fraternità e una umanità condivisa, che conduce “ad un genuino incontro, in cui il cuore parla al cuore. Siamo arricchiti dalla sapienza dell’altro e diventiamo aperti a percorrere insieme il cammino di una più profonda conoscenza, amicizia e solidarietà”.

Quando guardiamo al grande Continente asiatico – conclude il Pontefice – “siamo consapevoli che, nel piano di Dio, le vostre comunità cristiane sono davvero un «pusillus grex», un piccolo gregge, al quale tuttavia è stata affidata la missione di portare la luce del Vangelo fino ai confini della terra. Il Buon Pastore, che conosce e ama ciascuna delle sue pecore, guidi e irrobustisca i vostri sforzi nel radunarle in unità con Lui e con tutti gli altri membri del suo gregge sparso per il mondo”.

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