Io sono: non abbiate paura

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Il mormorio del vento leggero

Coraggio, io sono, non abbiate paura (Mt 14,27). Solo chi raccoglie quest’invito e lo accoglie col cuore, domina la paura e incarna il coraggio. Ogni vittoria sulla paura nasce dalla consapevolezza di vivere la sublime avventura di essere figli nello Spirito del Figlio del Padre.

La pagina drammatica e incantevole di 1Re 19.11-13 ci racconta il viaggio silente e solitario di Elia, appassionato e focoso profeta di Dio, oltre il turbamento. Il monte Oreb è il medesimo sul quale Mosè ebbe la visione del roveto ardente e la rivelazione del nome di Dio (cf. Es 3,1). Affaticato e oppresso dal tumultuoso cammino nella storia, Elia fugge e s’inoltra nel deserto per trovare riposo all’ombra del ginepro. D’improvviso, lo desta una voce che lo invita a gustare il pane del ristoro e l’acqua della vita. L’opera di Elia si connette con quella di Mosè. Essi saranno ancor più uniti nella teofania della Trasfigurazione.

Vento impetuoso, terremoto e fuoco non fanno paura. Alla brezza soave e leggera, senza condivisione di idolatria, Elia percepisce il mormorio del silenzio che rivela il Mistero. Elia sale sul monte per cercare nel fuoco il Dio forte e potente, invece, incontra il Dio debole nel soffio del vento leggero, voce di un silenzio svuotato (1Re 19,20). Al di là dei rumori fragorosi delle apparenze esteriori, quel mormorio del vento leggero è simbolo della stessa trascendenza di Dio che si rivela alla sublime e intoccabile libertà di coscienza dell’uomo. L’esperienza divina nella quiete domanda al nostro cuore la calma del silente coraggio interiore. Solo il Signore è capace di acquietare e dominare le agitazioni nel caos della vita. Solo la libertà che lo Spirito ci offre in dono dà forza e coraggio di superare sconvolgimenti, trappole e attacchi che l’uomo idolatra e malvagio procura al suo fratello in umanità.

 

L’esperienza divina nella quiete

Il vangelo di Matteo ha due racconti sulla vicenda della barca degli apostoli sbattuta dal turbine dei venti contrari nel mare agitato (cf 8,23-27; 14,22-23). «Fa piacere – dice Pascal – essere in un vascello sbattuto dalla tempesta, quando si è sicuri che esso non perirà». Cristo, sulla barca, è timone e faro di una rotta invisibile e misteriosa che conduce alla vita con Lui. Mi interrogo: l’uomo di fede deve vivere nella nostalgia di ieri, nella sicurezza di oggi o nella speranza di domani?

Quando la fede, che affonda le sue radici nella speranza, vacilla, la seduzione afferra, l’ingiustizia opprime, l’infermità consuma, avvertiamo che Gesù si addormenta. L’evangelista Marco, con delicata tenerezza, dipinge la scena di Gesù che se ne stava a poppa, sul cuscino (4,38), che, forse, lo stesso Pietro, con gesto di tenerezza, gli aveva procurato! Quel sonno riempie di paura il cuore degli apostoli, ma è sonno benedetto che sveglia le attese dell’anima: proprio allora, il Signore aspetta il grido di fede confidente: Salvaci, Signore, siamo perduti! (Mt 8,25). Il buio della sua croce diventa luce di speranza, l’angoscia dello spirito si trasforma in grido d’amore: Perché avete paura, uomini di poca fede? (Mt 8,26a).  La domanda del Salvatore è risposta di vita e soluzione al mistero dell’uomo. Quindi, levatosi, sgridò i venti e il mare. Et facta est tranquillitas magna (Mt 8,26b). Il mare e la tempesta sono trattati da Gesù come esseri viventi: li esorcizza quasi come demoni ed essi gli obbediscono. Allora non si avvertono più l’urlo della bufera, l’agitazione della tempesta improvvisa e furiosa che provocano il terrore di affogare nel nulla.

I discepoli, nella tempesta reale, avevano temuto, anche se con loro c’era Colui che aveva comandato alle malattie, ai demoni e persino alla morte. Gesù dormiva dolcemente a poppa e riposava tranquillo nel sibilare dei venti e il rumoreggiare delle ondate. Gesù sembrava assente dalla loro paura: era questa una sorta di accusa alla loro incredulità d’apostoli in formazione. Difatti, essi lo richiamarono dicendo: Maestro, non t’importa che noi moriamo? (Mc 4,38).  La domanda è veramente sfrontata! Come se a Gesù non interessasse niente della loro vita in pericolo, Lui che li aveva perfino scelti per essere apostoli! Essi avrebbero dovuto guidare e orientare a lungo e senza soste quella nave misteriosa tormentata dalle raffiche delle persecuzioni, delle eresie, dei molteplici tradimenti e disorientamenti, delle viltà e delle discordie. Dentro la stessa nave, sarebbero scoppiati ammutinamenti e incoscienze, trappole e vendette, spinte profetiche in avanti e marce all’indietro; il Pane vivo della Vita sarebbe stato sostituito dalle pietre trasformate in pane di morte. Sant’Agostino commenta: Somnus Christi signum est magni sacramenti. Il sonno di Gesù sulla barca prefigurava il sonno della morte in croce, inizio di risurrezione e trionfo di Vita. Gesù si è incarnato per sottrarre l’umanità dalla paura e dall’arbitrio delle cose e degli eventi e farci assaporare la sua presenza divina, dolce e forte, consolante e dinamica.

 

Camminare sulle acque con Gesù

Dinanzi alla storia agitata dai marosi e dai venti contrari, Gesù non si allontana, resta sempre con noi e risponde, non con l’evanescenza di un fantasma, ma con la presenza reale di uomo-Dio che ci spinge ad abbandonare ogni paura: Coraggio, io sono, non abbiate paura (Mt 14,27). Come il Dio Salvatore dell’Esodo, Gesù sorge dalla solitudine della preghiera per salvare la sua comunità di poca fede comunicando la potenza che salva.

San Giovanni Crisostomo dice che Gesù sale sul monte tutto solo a pregare, «per insegnarci il valore del deserto e della solitudine, quando si deve pregare Dio». Spesso Cristo va nel deserto e vi trascorre la notte nell’orazione, per ammaestrarci che occorre trovare un tempo e un luogo per una preghiera tranquilla. La solitudine orante è la madre della tranquillità e il porto della quiete che ci libera da ogni tumulto.

Pietro comincia ad affondare quando, dubitando, diventa uomo di poca fede (Mt 14,31). Nella condizione di dubbio la forza di Cristo s’arresta. Anche se la violenza del vento impaurisce, Pietro non deve dubitare perché Cristo è presente. I fallimenti del popolo ebreo, e di ogni uomo che non ha fede pura, hanno sempre una sola causa: la diffidenza, l’incredulità, la ricerca di altri appigli, di altre cause. Pietro emerge dalle onde del mare quando esplode nel grido d’invocazione: Signore, salvami! (Mt 14,30). Il riconoscimento e l’affidamento a chi è veramente il Figlio di Dio lo libera dalla paura della morte. Gesù salva Pietro con un gesto e una parola: stende la mano e lo afferra, lo rimprovera e lo salva. La vicenda di Pietro rimane emblematica per ogni discepolo che, attraverso la fede, riesce a superare le avversità vincendo ogni paura. Come Pietro, tutti sperimentiamo cosa significa affondare, o per eventi naturali o per le mani di uomini assassini; tutti, però, dobbiamo imparare a confidare nel Salvatore per essere stabili nella fede. Soltanto il coraggio della fede dona la forza di superare qualsiasi momento di incertezza, di sconforto e di paura. Tutto il mistero cristiano poggia su questa fede trasmessa a tutta la Chiesa apostolica. L’evento notturno degli apostoli, che continua a essere quello stesso della Chiesa di tutti i tempi che naviga nei mari della storia, diviene esperienza personale e comunitaria. Il grido di paura deve trasformarsi in canto di coraggio del credere per essere testimoni credibili.

 

Afferrati da Cristo: racconto è kerygma

Il racconto della tempesta sedata ha il suo alveo nella vita di Gesù e in quella della Chiesa. Non si tratta di un semplice racconto che descrive una tempesta sul lago, ma di un kerygma che illumina un contrasto. Alla furia violenta della tempesta è contrapposto il sonno sereno e il silenzio orante di Gesù. La sicurezza e la fermezza del Maestro è in evidente contrasto con l’angoscia e la paura degli apostoli. Se Gesù è con noi chi sarà contro di noi? È chiaro che la sequela di Cristo comporta il vivere nelle tempeste sul mare agitato della vita, ma proprio quando i discepoli smarriti perdono la propria sicurezza, il Signore si china su di loro, li afferra e li incoraggia a riprendere l’entusiasmo della fede in Lui.

L’evento della tempesta sedata e la professione di fede di Pietro sono insieme rivelazione cristologica ed ecclesiale. Illuminanti metafore del cammino della Chiesa nella storia tra Pasqua e Parusia, essi sono vera e propria storia di fede, quella fede combattuta dalle tante prove e persecuzioni; quella fede provata e purificata dalle tribolazioni, provocate, persino, dagli stessi uomini di fede non pura e vacillante che hanno scambiato Cristo per un fantasma che spaventa. Quando il cuore è imbrattato di idolatria, il divino diventa un fantasma.

La Chiesa non deve mai lasciarsi scoraggiare e abbattere dalle negatività della vita perché Il Signore risorto conduce alla liberazione, attraverso il deserto della storia, nella Terra promessa. Gesù che cammina sulle acque, che fa cessare il vento riportando la bonaccia, alla Chiesa che naviga nel fluire del tempo della storia, è simbolo luminoso della sua teofania di Risorto. Gesù sorge dalla solitudine della preghiera, cammina sulle acque turbolente per salvare la sua comunità di poca e incerta fede, ed esplode nel grido che salva: Io sono! È il nome di Dio che era, che c’è e che è sempre con noi. Lo abbiamo cantato in entusiasmo quella notte del 24 dicembre 1999. Il ricordo rimane nella memoria e nel cuore. Giovanni Paolo II, dopo il breve silenzio orante d’attesa, spalancò la Porta Santa dando inizio al nuovo millennio:

Christus heri et hodie, Finis et Principium;

Christus Alpha et Omega. Ipsi gloria in saecula.

 

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