La maternità surrogata e i figli di nessuno

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Magari un tempo, quando non tutte le notizie riuscivano ad essere diffuse capillarmente come oggi, si poteva anche far finta di nulla ed essere certi che di alcuni scandali privati nessuno se ne sarebbe accorto. Oggi ovviamente non è più così, e l’episodio di maternità surrogata accaduto in questi giorni non ha tardato, nel giro di pochi minuti, a fare il giro del mondo, raccogliendo lo sdegno, ma anche la solidarietà di moltissime persone.

Accade tutto in Australia. Una giovane thailandese mette il proprio utero (come in un vero e proprio contratto d’affitto) a disposizione di una coppia australiana, che non bada a spese per realizzare il desiderio di possedere un figlio. L’ecografia riconosce la presenza di due vite umane, una femminuccia e un maschietto, quest’ultimo, purtroppo, è affetto dalla sindrome di Down.  Gli acquirenti australiani, allora, scelgono di tenere solo la piccola, il resto non è un affare che li riguarda… il contratto, del resto, non prevedeva questa triste ipotesi!

Il quotidiano Avvenire, in prima pagina, parla giustamente di “cultura dello scarto umano”, ma anche di sfruttamento, nel momento in cui – scrive Marina Corradi nell’editoriale – si chiede ad una donna di farsi incubatrice per un’altra. “E perché questa supplenza esercitata da donne giovani e povere, per lo più del Terzo Mondo, viene raccontata come «dono» e non come il duro sfruttamento che è?”.

Domande inquietanti che dicono quando poco valore abbia la dignità dell’uomo oggi, e quanto spazio venga, invece, concesso al nostro egoismo quando si arriva ad affermare che se pago 16 mila euro per comprare un figlio lo “voglio” sano! Intanto la madre surrogata dei due gemellini ha deciso – con una scelta consapevole e coraggiosa – di tenere con sé il bambino affetto dalla sindrome di down, e la solidarietà di tantissima gente non ha tardato ad arrivare. In dieci giorni – precisa Avvenire – sono stati raccolti 104mila dei 150mila dollari australiani necessari a operare il bambino (nato con una grave patologia cardiaca e bisognoso di cure urgenti).

Ai microfoni di Radio Vaticana, Filippo Maria Boscia, docente di Bioetica all’Università di Bari e presidente dell’Associazione medici cattolici italiani, afferma: “I diritti dell’embrione devono essere fatti valere, ma chi accetta in questa società così modificata di difenderli? Noi abbiamo un silenzio, una mortificazione circostante, che agisce proprio come anestesia sociale. E questo consente pure che i tecnici si spingano oltre misura, anche con dei gesti che praticamente vengono dati come semi del progresso, ma sono semi della minaccia. Giustamente, Papa Francesco considera che ci debbano essere specifiche norme, diciamo speciali. Io direi che le norme della coscienza devono impedire ai poteri forti di utilizzare le metodiche riproduttive in maniera impropria, o seguendo un’onda di collettiva emulazione. Noi, soprattutto noi cattolici, non possiamo tacere”. E ancora: “L’utero in affitto è già praticamente un attacco all’embrione e alla dignità umana. Mina la genitorialità che diventa asimmetrica, mina la genetica che, in sostanza, si rende responsabile delle trasmissioni delle malattie. Compromette il rapporto educazionale e relazionale, può creare delle crisi di identità, ma soprattutto crea delle situazioni di abbandono della vita che si dice ‘non degna’ di essere vissuta”.

Appare comunque evidente la necessità di formulare nuove leggi (a parte quella naturale e morale puntualmente disattese) che siano capaci di difendere la vita di ogni essere umano dal mercato delle prestazioni. “Purtroppo nella nostra epoca, – ha detto Papa Francesco recentemente – così ricca di tante conquiste e speranze, non mancano poteri e forze che finiscono per produrre una cultura dello scarto; e questa tende a divenire mentalità comune”.

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