Luglio, per la Bosnia il più crudele dei mesi

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Il mese di Luglio per la Bosnia Erzegovina è un sempre un periodo che provoca turbamento e solleva feroci ricordi. ‘L’edizione 2014’ non si è voluta far mancare nulla e, dopo l’alluvione del maggio scorso e dopo la celebrazione in ricordo delle vittime del genocidio l’undici luglio a Potocari, è arrivata anche una sentenza del tribunale dell’Aja a buttare altra carne sul fuoco.
Nel cimitero memoriale a pochi da Srebrenica, nel 19° anniversario del massacro, sono stati inumati i resti di 175 vittime, tra i quali un 14enne. Ogni anno vengono sepolti i corpi ricostruiti durante un anno di lavoro nel Centro Commemorativo di Tuzla. Corpi ritrovati nelle fosse comuni (primarie, secondarie, terziarie) sparse nel territorio. Ogni anno se ne trovano di nuove. L’ultima è stata scoperta recentemente perché emersa in seguito alla grossa alluvione che ha colpito la Bosnia due mesi e mezzo fa.

Legati a questi tristi fatti, è di qualche giorno fa la sentenza di un Tribunale dell’Aja che ha attribuito al governo olandese la responsabilità civile per il comportamento dei suoi caschi blu, la cui base, nel luglio del ’95, era proprio a Potocari.

Una sentenza storica ma con molte luci ed ombre e che non fa giustizia di tutte le vittime, più di ottomila, che vennero trucidate dai soldati di Ratko Mladic e da paramilitari senza scrupoli.
Tutto è partito dal ricorso dell’associazione “Madri di Srebrenica”, donne che proprio in quei giorni persero padri, mariti, figli e nipoti. La sentenza ha scontentato il sodalizio poiché il tribunale ha riconosciuto sì la colpevolezza dei caschi blu olandesi guidati dal colonnello Thom Karremans ma solo per quelle poche centinaia di persone che avevano trovato rifugio nel compound olandese. Va ricordato, infatti, che Srebrenica nel ’93 era stata dichiarata zona protetta dalle Nazioni Unite.

Nei concitati giorni tra l’undici e il 13 luglio ’95, invece, circa 25 mila sfollati da Srebrenica si avviano verso Potocari con la promessa olandese che lì sarebbero stati al sicuro (nello stesso momento circa 15mila uomini cercano una via di fuga nei boschi per raggiungere la zona libera di Tuzla, ma finiranno preda dei macellai di Mladic). I primi cinquemila vengono fatti entrare nel compound olandese, gli altri si appostano nel prato antistante, alla mercè dei soldati serbi, vittime di rastrellamento e dei crimini più efferati. Analoga sorte troveranno quelli entrati nella base olandese dopo che Karremans di fatto consegnò le chiavi a Mladic per “completare l’opera”.
Una sentenza, quella del tribunale civile dell’Aja, che non rende giustizia alle altre migliaia di persone sfollate da Srebrenica, andate incontro a morte certa dopo il ‘tradimento’ dei caschi blu dell’Onu.

Il luglio orribile della Bosnia arriva dopo le devastanti piogge della seconda metà di maggio. Ad essere colpite dalla furia dell’acqua anche la Serbia e la Croazia. Popolazioni che la guerra aveva diviso, nell’emergenza si sono ritrovate a collaborare insieme. Il 16 luglio scorso si è tenuta a Bruxelles la conferenza dei donatori promossa dalla Commissione Europea con l’aiuto di Slovenia e Francia per stanziare aiuti extra da impiegare nella ricostruzione.
La Caritas nazionale di Bosnia Erzegovina, su indicazione del presidente, il vescovo di Banja Luka Franjo Komarica, si è subito attivata “in soccorso delle popolazioni alluvionate”. Anche in Serbia la Caritas di Sabac “è diventata punto di riferimento per la popolazione locale. Operatori e volontari hanno cercato di fare fronte all’emergenza distribuendo pacchi viveri e vestiti puliti e asciutti alle persone evacuate.

A proposito di alluvioni in territorio bosniaco, a Bratunac (pochi kilometri da Srebrenica) nella Repubblica Srpska, la Cooperativa Insieme è un esempio di come si possa rinascere, dopo le macerie della guerra, anche da quelle del dopo alluvione. “Insieme” è una cooperativa che produce succhi e marmellate di lamponi, sfruttando la coltura di questi piccoli frutti abbondanti in quella zona. Nasce nel 2003 grazie a dieci soci fondatori con l’intento di creare le condizioni per il ritorno di donne che, nel corso del conflitto, dopo aver perso mariti e figli, erano scappate. Lavorando l’una accanto all’altra, serbe e musulmane insieme “hanno iniziato a parlarsi prima sul luogo di lavoro e poi a costruire un dialogo anche fuori”, racconta Rada Zarkovic presidente della Cooperativa che ha subito grossi danni dopo le esondazioni degli affluenti della Drina. Ora sta cercando di ripartire tra mille difficoltà. I danni più ingenti non si sono avuti alle strutture (pur danneggiate), ma dal raccolto. I piccoli soci produttori hanno visto i loro campi completamente allagati. “E questo – racconta Rada – è successo proprio la settimana prima della raccolta. C’erano già i frutti e sono andati persi. Tutto il raccolto è stato compromesso”. Questo è stato il danno più grave perché il sistema di sostegno ai produttori prevede che la cooperativa anticipi loro i costi.

“L’appello che facciamo – continua Rada – è quello di sostenere le vendite (confetture extra di piccoli frutti, confetture e succhi bio attraverso canali quali Altromercato, Miobio, Coop) perché significa mantenere una linea coerente con la filosofica della Cooperativa che nasce rifiutando il ruolo di vittima. Le marmellate e i succhi che produciamo si devono comprare non perché vi facciamo pena, ma perché sono buoni. E’ questo che dà rispetto, riscatto e dignità alle persone che producono e permette un discorso proiettato al futuro dove puoi ricostruire relazioni sul territorio tra gruppi diversi senza che il passato venga dimenticato”.

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