Creatività, obbedienza e gioia, come essere buoni preti secondo Papa Francesco

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Nel linguaggio di Papa Francesco c’è una parola che ritorna spesso: creatività. Non è certo un modo per incoraggiare una “fantasia” che allontana dalla vera fede, quanto piuttosto un modo per ricordare a tutti, ma in particolare ai sacerdoti, che lo Spirito Santo agisce in noi tramite questa umanissima caratteristica. Insomma essere creativi per il Papa significa essere in ascolto della Parola di Dio. Questo ascolto però si esercita in diversi modi. Con l’ascolto vero e proprio, ma soprattutto con quella apertura di cuore che per un sacerdote si deve unire alla obbedienza alla Chiesa Madre e Gerarchica, come ama spesso ripetere Papa Francesco alla scuola di Ignazio.

Vista così la creatività perde il significato di “rivoluzionarietà” che alcuni vorrebbero attribuire al Papa e riporta il suo insegnamento alla più classica forma di catechesi cristiana. E lo spiega lo stesso papa parlando ai sacerdoti diocesani. Il dialogo improvvisato a Caserta  in una visita inattesa è un grande aiuto per capire come Bergoglio vede la ecclesia. 

Tra un racconto, un aneddoto e una battuta il Papa rilegge la vita della Chiesa dei primi secoli. Dal Dio che sempre ci sorprende dobbiamo imparare la spiritualità del prete diocesano, spiega il Papa. Con una “contemplatività”  sia verso Dio sia verso gli uomini. Un “aprirsi alla diocesanità.”

E qui arriva il passaggio più interessante: “Il rapporto con il Vescovo è importante, è necessario. Un sacerdote diocesano non può essere staccato dal Vescovo.”

Questo è forse uno dei punti più difficili nella vita dei sacerdoti. Almeno oggi. Sembra che alcuni preti siano sempre fin troppo disposti ad ignorare il loro vescovo. Ma il Papa su questo è chiaro: “ Il Vescovo potrà forse essere un uomo con cattivo carattere: ma è il tuo Vescovo. E tu devi trovare, anche in quell’atteggiamento non positivo, una strada per mantenere il rapporto con lui. Questa comunque è l’eccezione. Io sono prete diocesano perché ho un rapporto con il Vescovo, un rapporto necessario. È molto significativo quando nel rito dell’ordinazione si fa il voto di obbedienza al Vescovo.”

Diocesanità è rapporto con il resto dei sacerdoti. Anche questo è un punto dolente nella vita quotidiana delle comunità. ““Io, sì, con il Vescovo vado bene, ma alle riunioni del clero non ci vado perché si dicono stupidaggini”. Ma con questo atteggiamento ti viene a mancare qualcosa: non hai quella vera spiritualità del prete diocesano.”  Il Papa fa un esempio molto bello, che forse però non tiene conto della crisi profonda che esiste nella famiglia e per questo anche nel sacerdozio: un padre un figlio che discutono: “Non è facile, perché mettersi d’accordo con il Vescovo non è sempre facile, perché uno la pensa in una maniera l’altro la pensa nell’altra, ma si può discutere … e si discuta! E si può fare a voce forte? Si faccia! Quante volte un figlio con il suo papà discutono e alla fine rimangono sempre padre e figlio.”

Insomma meglio un confronto vivace e diretto che il “parlar dietro”.  Una tentazione dice il Papa che viene da “una vita celibataria vissuta come sterilità, non come fecondità. Un uomo solo finisce amareggiato, non è fecondo e chiacchiera sugli altri.”

E’ lì il diavolo, dice il Papa che ha recuperato una realtà che sembrava dimenticata, quella appunto della presenza del Maligno. “ E il diavolo è felice con quel “banchetto”, perché così attacca proprio il centro della spiritualità del clero diocesano. Per me le chiacchiere fanno tanto danno.”

E allora qual è la via da seguire?

Pregare, ovviamente, e pregare tanto con intensità per combattere il Diavolo che vuole che la Chiesa non sia feconda, unita e gioiosa. Ecco la gioia. Un clero gioioso è un clero sano come invece “l’amarezza è il segno che non c’è una vera spiritualità diocesana, perché manca un bel rapporto con il Vescovo o con il presbiterio, la gioia è il segno che le cose funzionano. Si può discutere, ci si può arrabbiare, ma c’è la gioia al di sopra di tutto, ed è importante che essa rimanga sempre in questi due rapporti che sono essenziali per la spiritualità del sacerdote diocesano.”

E poi usa una di quelle frasi in un italiano velato di argentino che lo rendono simpatico a molti: “ Uno può arrabbiarsi: è anche sano arrabbiarsi una volta. Ma lo stato di arrabbiamento non è del Signore e porta alla tristezza e alla disunione.”

La verità è che il Papa con il suo personalissimo stile ci ricorda quello che la Chiesa insegna da secoli: “essere fedeli a Dio è cercarlo, aprirsi a Lui nella preghiera, ricordando che Lui è il fedele, Lui non può rinnegare se stesso, è sempre fedele. E poi aprirsi all’uomo; è quell’empatia, quel rispetto, quel sentirlo, e dire la parola giusta con la pazienza.”

C’è molto altro nel lungo dialogo del Papa con i preti di Caserta. Ma credo che rileggere questo passaggio sia utile anche a molti laici che potranno essere vicini ai loro sacerdoti aiutandoli ad essere gioiosi e fecondi nella perfetta obbedienza.

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