Il rapporto annuale dello IOR e l’eredità di von Freyberg

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Durerà tre anni (dal 2014 al 2017) la “fase 2” della riforma dell’Istituto delle Opere di Religione, ovvero lo IOR, la cosiddetta “banca vaticana”. Lo ha rivelato Ernst von Freyberg, firmando il commento iniziale al rapporto annuale dell’Istituto pubblicato oggi. È il passo d’addio dell’uomo di affari tedesco, che ritorna alla sua famiglia e agli affari di famiglia dopo aver traghettato l’Istituto in un momento particolarmente difficile.

Il rapporto annuale è stata una precisa volontà di von Freyberg, che per pubblicarlo non aveva esitato anche a fare qualche pressione, annunciando ai giornali che ci sarebbe stato quello poi pubblicato lo scorso anno quando ancora in Vaticano si avevano dei dubbi se farlo o meno. Perché il problema è che il rapporto annuale è un qualcosa che fanno gli istituti bancari. Ma lo IOR non è una banca, come si affannano da sempre a spiegare i funzionari vaticani.

Certo, il rapporto di quest’anno suscita meno curiosità di quello dell’anno scorso. Perché la pubblicazione del bilancio ha già reso note molte delle cifre che si trovano poi nel rapporto annuale, dove in più ci sono anche ampi grafici che spiegano l’andamento del mercato, le fluttuazioni del prezzo dell’oro e quelle dei bond. Temi molto tecnici, in fondo. Come tecnici sono i termini che vi si leggono: asset, liabilities, equities. Per far capire a qualcuno curioso di andare a scaricare il rapporto nel sito, questi termini si possono spiegare in maniera rozza così: gli asset sono l’attivo, e comprendono tutti i crediti a breve/lungo termine, le immobilizzazioni materiali (cioè macchinari e strutture) più altre voci. Le liabillities e l’equity costituiscono insieme il passivo. Le prime riguardano soprattutto i debiti, mentre il secondo è il patrimonio netto, costituito da tutte le proprietà dell’impresa, in genere il capitale azionario.

Detto questo, nel rapporto annuale von Freyberg esprime soddisfazione: vero, il profitto netto è basso (2,9 milioni) ma perché le operazioni sono state influenzate da dismissioni e processo di riforma. E ora, dice, si va avanti verso la seconda fase, con un nuovo presidente (Jean-Baptiste de Franssu), un nuovo board, e un triennio in cui “lo IOR continuerà a servire con prudenza e fornire servizi finanziari specializzati alla Chiesa Cattolica nel mondo”.

Quali sono i servizi che fornisce lo IOR è spiegato nel rapporto. “Un cliente tipico può essere una congregazione che opera in un Paese in via di sviluppo insegnando ai bambini, fornendo assistenza sanitaria o servendo come missione. Per portare avanti questo lavoro, si affidano a fondi che vengono da altre parti del mondo – soldi che sono destinati alla costruzione di chiese e nuove scuole, a scavare pozzi o a pagare i salari degli impiegati locali, ad esempio. Lo IOR serve la Congregazione trasferendo questi fondi in modo sicuro e con un buon rapporto costi benefici, prendendosi cura di ogni necessaria transazione di denaro, e garantendo l’aderenza alle regole antiriciclaggio, alle liste di embargo e cos simili. Dato che lo IOR non ha filiali all’estero, si affida a banche corrispondenti nel mondo per trasferire i fondi a nome del cliente. La Congregazione avrà così un conto allo IOR nello Stato di Città dell Vaticano dove i fondi sono raccolti per il trasferimento, tenuti sicuri e gestiti in maniera conservativa fin quando sono richiesti. In molti casi, i nostri clienti hanno tenuto i loro conti per molti decenni, e godono di una relazione con lo IOR basata su molti anni di fiducia ed esperienza”.

Questo processo di riforma è costato l’aumento di 8,3 milioni delle spese per le consulenze esterne, andate al Promontory Financial Group così come alla consulenza per la comunicazione, necessaria per ripulire l’immagine di un Istituto che in pancia – aveva detto von Freyberg in conferenza stampa lo scorso 9 luglio – non aveva investimenti sospetti né conti sospetti.

E c’è tutto un capitolo del rapporto dedicato agli standard IFRS (International Financial Reporting Standards), ovvero i principi contabili internazionali. È l’aggiornamento dell’anagrafica dei clienti e del modo di rapportare riguardo le operazioni finanziarie, in modo che sia più aderente ai parametri internazionali per la lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo, e questo è un processo costante di qualunque istituto finanziario. E proprio a scorrere la lista di tutti i cambiamenti fatti su questi parametri per adeguarsi alle norme internazionali, si può notare come praticamente nessuno ha un effetto immediato sui clienti e sull’anagrafica dell’Istituto. Segno di salute per lo IOR, il cui già avviato processo di trasparenza – ovviamente da migliorare e aggiornare continuamente – era stato plaudito da MONEYVAL. E segno anche che le grandi riforme in fondo non hanno cambiato poi tanto gli assetti interni dell’Istituto.

Si è comunque fatta una scelta, quella di restringere le categorie di possessori di conti. Era necessaria una razionalizzazione, di asciugare le posizioni (ovvero il gruppo di conti attribuibili ad una sola congregazione religiosa ad esempio), di chiudere i conti dormienti. Tutto questo ha portato alla chiusura di 396 conti e all’estinzione di circa 2600 conti dormienti, mentre altri 359 conti sono in via di chiusura. Dopo questo taglio, i clienti dello IOR sono 17419, mentre nel 2012 erano approssimativamente erano 18900. La gran maggioranza di questi sono clienti istituzionali.

Il rapporto annuale rende conto anche della retribuzione dell’ex presidente Ernst von Freyberg per gli 11 mesi di incarico del 2013: 208mila euro, nonchè gli assegni per gli ex top manager dimissionati lo scorso anno: l’ex direttore generale Paolo Cipriani e il suo vice Massimo Tulli. L’importo complessivo per i due è di un milione, ma 694 mila euro alla data di redazione del bilancio non erano stati ancora liquidati. La nuova direzione generale è costata invece 77 mila euro per l’anno di lavoro che ha svolto, e il Consiglio di Sovrintendenza uscente, cui devono essere liquidati 260 mila euro.

Lo scorso anno lo Ior ha anche ridotto attività a passività verso tutti i Paesi ad eccezione della Germania: l’esposizione verso asset (patrimoni) italiani è stata quasi dimezzata da 1,17 miliardi a 694 milioni; ridotta a un terzo quello verso la Spagna (da 589 a 220 milioni); tagliati anche gli investimenti in Stati Uniti e Canada. “Nessun altro paese – si legge nel documento – rappresenta più del cinque per cento degli asset totali”.

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