Papa Francesco condanna la tortura

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Al termine della recita dell’Angelus di domenica scorsa papa Francesco ha ricordato la giornata per le vittime della tortura: “Il 26 giugno prossimo ricorrerà la Giornata delle Nazioni Unite per le vittime della tortura. In questa circostanza ribadisco la ferma condanna di ogni forma di tortura e invito i cristiani ad impegnarsi per collaborare alla sua abolizione e sostenere le vittime e i loro familiari. Torturare le persone è un peccato mortale! Un peccato molto grave!”

Ed Amnesty International ha accusato i governi di ogni parte del mondo di aver tradito l’impegno a porre fine alla tortura, 30 anni dopo la storica adozione della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura. Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia, ha dichiarato: “La vietano per legge, la facilitano nella pratica. Ecco la doppia faccia dei governi quando si tratta della tortura. Non solo la tortura è viva e vegeta, ma il suo uso sta aumentando in molte parti del mondo poiché sempre più governi tendono a giustificarla in nome della sicurezza nazionale, erodendo così i progressi fatti negli ultimi 30 anni.

Quella Convenzione era stata il prodotto di una campagna di Amnesty International contro la tortura. E’ disarmante rendersi conto che, nonostante i progressi fatti da allora, 30 anni dopo ci voglia un’altra campagna di Amnesty International affinché sia rispettata. A partire dal 1984, la Convenzione contro la tortura è stata ratificata da 155 paesi. Amnesty International ha svolto ricerche su 142 di essi, giungendo alla conclusione che nel 2014 la tortura viene praticata ancora da 79 paesi.

Negli ultimi cinque anni, Amnesty International ha registrato casi di tortura o di altri maltrattamenti in 141 paesi ma, dato il contesto di segretezza nel quale la tortura viene praticata, è probabile che il numero effettivo sia più alto”. Nel rapporto della campagna globale ‘Stop alla tortura’, intitolato ‘La tortura oggi: 30 anni di impegni non mantenuti’, è riportato un lungo elenco di metodi di tortura usati contro presunti criminali comuni, individui sospettati di costituire una minaccia alla sicurezza nazionale, dissidenti, rivali politici e altre persone ancora: dall’obbligo di rimanere in posizioni dolorose alla privazione del sonno, dalle scariche elettriche ai genitali allo stupro.

Amnesty International ha commissionato anche un sondaggio all’istituto di ricerche GlobeScan per conoscere l’attitudine dell’opinione pubblica rispetto alla tortura in 21 paesi del mondo. Il risultato allarmante è che il 44% del campione pensa che, se fosse arrestato nel suo paese, rischierebbe di essere torturato. L’82% ritiene che dovrebbero esserci leggi rigorose contro la tortura ma più di un terzo (il 36%) crede che la tortura potrebbe essere giustificata in determinate circostanze.

Mentre l’azione di Amnesty International per prevenire e punire la tortura prosegue a livello mondiale, la campagna ‘Stop alla tortura’ si concentrerà su cinque paesi dove la tortura è praticata in modo ampio e dove l’organizzazione per i diritti umani ritiene di poter contribuire a cambiare significativamente la situazione. In Messico, il governo sostiene che la tortura sia l’eccezione e non la regola. La realtà è che è praticata massicciamente e impunemente dalle forze di polizia e di sicurezza.

Miriam López Vargas, 31 anni, madre di quattro figli, è stata sequestrata da due soldati in borghese e portata in una caserma. Qui, in una settimana, è stata sottoposta a scariche elettriche e semi-soffocata per costringerla a confessare presunti reati di droga. Sono passati tre anni ma nessuno dei suoi torturatori è stato portato di fronte alla giustizia. La giustizia, nelle Filippine, è fuori dalla portata della maggior parte dei sopravvissuti alla tortura. All’inizio del 2014 è stato scoperto un centro segreto di detenzione dove la polizia torturava i prigionieri per divertimento, usando una roulette lungo i settori della quale erano scritti vari metodi di tortura.

Lo scandalo mediatico ha dato vita a un’indagine interna e alcuni agenti di polizia sono stati rimossi dall’incarico. Tuttavia, Amnesty International chiede un’indagine approfondita e imparziale che porti in tribunale tutte le persone coinvolte. La maggior parte degli atti di tortura da parte delle forze di polizia rimane impunita e i sopravvissuti alla tortura restano a soffrire in silenzio. In Marocco/Sahara Occidentale è raro che le autorità marocchine indaghino sulle denunce di tortura. Le autorità spagnole hanno estradato in Marocco Ali Aarrass nonostante il pericolo che venisse torturato.

Arrestato dai servizi di sicurezza, è stato portato in un centro segreto di detenzione dove gli sono state somministrate scariche elettriche sui testicoli, è stato picchiato sulle piante dei piedi ed è stato tenuto appeso per i polsi per lunghe ore. Ha dichiarato di essere stato costretto a ‘confessare’ di aver collaborato con un gruppo terrorista. Sulla base di tale ‘confessione’ è stato condannato a 12 anni di carcere e le sue denunce non sono mai state prese in considerazione. Le forze di polizia e i militari della Nigeria ricorrono regolarmente alla tortura.

Moses Akatubga è stato arrestato all’età di 16 anni. Lo hanno picchiato e gli hanno sparato a una mano. In una stazione di polizia è stato appeso per gli arti per ore. Sotto tortura, ha ‘confessato’ di aver preso parte a una rapina. Le sue denunce di tortura non sono mai state pienamente indagate. Nel novembre 2013, dopo otto anni di attesa del verdetto, è stato condannato a morte.

In Uzbekistan, dove Amnesty International non può entrare, la tortura è pervasiva ma pochi torturatori sono stati portati di fronte alla giustizia. Dilorom Abdukadirova ha trascorso 5 anni in esilio dopo che le forze di sicurezza aprirono il fuoco contro una manifestazione cui stava partecipando. Rientrata nel paese, è stata arrestata e accusata di tentativo di rovesciare il governo. Al processo, è apparsa in aula emaciata e con cicatrici sul volto. I suoi familiari sono certi che sia stata torturata.

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