“L’arte è veramente un modo di fare teologia.” Parola di Padre Ruknik, autore dei mosaici della nuova cripta pronta ad accogliere San Pio

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Entrando in quello spazio di oltre duemila metri quadri si rimane colpiti dal colore, dalla luce, e dalla bellezza. Nella rampa e nella nuova cripta della Chiesa di San Pio, c’è tutta l’estasi dall’arte, ma non quella “di galleria”. Perchè “L’arte è veramente un modo di fare teologia”, ha spiegato a Korazym.org, Padre Marko Ivan Rupnik, direttore del Centro Aletti di Roma, e soprattutto, ideatore e curatore dei mosaici che impreziosiscono vari angoli del mondo. E da qualche giorno, dopo la visita del papa a San Giovanni Rotondo, anche il luogo in cui, “dopo l’ostensione, ma non posso dare date certe”- fa sapere fra Antonio Belpiede, portavoce dei cappuccini – sarà collocato il corpo di San Pio da Pietrelcina”.

Padre Marko Ivan Rupnik, dopo tanta arte in giro per il mondo è la vota di San Giovanni Rotondo per Padre Pio, con l’inaugurazione dei mosaici della rampa e della cripta della Chiesa nuova…
“Per me è stata una grande grazia essere stato chiamato a San Giovanni Rotondo insieme alla nostra equipe dell’arte spirituale del Centro Aletti per lavorare per Padre Pio. E’ la prima volta che affrontiamo uno spazio così esteso. Sono più di duemila metri quadrati. Ma lo spazio è anche molto esteso teologicamente. Siamo stati chiamati ad affrontare temi teologicamente molto complessi. Si tratta fondamentalmente di due spazi: la rampa che porta alla cripta e la cripta stessa. Nella rampa il pellegrino verrà accolto dai due santi San Francesco e San Pio e, in comunione con loro, giungerà nella cripta, dove si contempla la maturità della nostra vita in Cristo. In slavo antico i santi venivano chiamati anche “simili”, perché sono simili a Cristo, ma anche portano i tratti della ecclesialità, cioè della comunione dei santi. Un santo è simile all’altro e insieme lo sono a Cristo. Perciò nella cripta c’è sulla colonna centrale il Cristo in gloria e sulle pareti le scene della vita di Cristo sulle quali si fondano la vita di Francesco e di Pio. Tra l’eternità del Cristo in gloria e la storia che nell’incarnazione Lui assume si estende la santità di Dio e la sua misericordia, che qui splende sul soffitto in oro. Tutto dono dei pellegrini a Padre Pio.”

Cosa ha voluto trasmettere con questa sua arte? Quale i significati specifici, al di là del tema di fondo che lega i mosaici… Quale il suo messaggio sostanziale?
“Io non so se siamo riusciti, ma il nostro intento era quello di far vedere il fascino, cioè la bellezza della vita che riceviamo nel battesimo e che i santi hanno testimoniato fino alla massima radicalizzazione. Rendendo veramente visibile e palpabile nel loro vissuto e nella loro vita. Mi piacerebbe molto che il pellegrino, o chiunque entrasse in questo luogo, percepisca e possa comprendere che si tratta di uno spazio sacro, uno spazio dove uno rallenta il passo, si azzittisce, e vede che qualcuno lo sta guardando con una grande misericordia.”

I mosaici della cripta della Chiesa di San Pio. Foto Lapresse

Ancora oggi l’arte serve per fare teologia…
“Questo è un tema molto complesso. Io penso che la nostra cultura si è molto verbalizzata e concettualizzata. L’immagine è rimasta semplicemente come una spiegazione del testo. Nei tempi antichi era diverso, soprattutto nelle chiese d’oriente. Specialmente in alcune, viene ancora custodito questo modo di fare teologia, che è l’arte. L’arte è veramente un modo di fare teologia. Io penso che sono due gli elementi che ci devono spronare a recuperare questo modo teologico. Primo perchè comunque noi non siamo una religione del libro, ma della Parola che si è resa carne, volto. perciò per noi non è sufficiente solo l’ascolto. Noi siamo una generazione della visione. Noi cristiani siamo visionari. Come vedi si percepisce la vittoria schiacciante del concetto del parlare e dello scrivere e si sente una specie di siccità delle visioni. Non ci sono visionari. Siamo minimalisti nelle cose. Organizziamo bellissimi eventi, però spesso è difficile avere una grande visione del cammino.
Il secondo punto è che noi ci siamo convinti che bastano le idee, e invece non è così. Oggi che le chiese si stanno svuotando ci rendiamo conto che le idee, anche se sono tanto belle, non sono sufficienti. Le idee che davvero devono interessare noi cristiani sono quelle che sono incarnate e veramente acquistano un volto, quello del nostro Signore. Cioè le nostre idee devono avere la carne e il vestito.”

Si dice che padre Marko Ivan Rupnik sia il continuatore di quella tradizione bizantina legata all’icona. E’ possibile dire che le sua opere siano una sorta di icone moderne?
“Quello che io cerco di fare è questo: ho studiato l’accademia nel tempo dell’arte contemporanea, ho avuto i maestri contemporanei, sono entrato in grande familiarità con l’arte contemporanea. L’ho studiata a livello teorico, l’ho insegnata all’Università Gregoriana per molti anni, orientandomi verso la lettura spirituale delle avanguardie del ventesimo secolo. Penso di conoscere molto bene l’arte contemporanea e quella moderna. Ma sono anche convinto che la più potente forza creatrice dopo l’amore sia la memoria. Penso che la Chiesa vive di memoria sapienziale. E allora ho cominciato sempre più a sentire vicini e familiari questi periodi del primo romanico, primo bizantino, primo gotico… Come sono stati forti questi momenti di flusso e riflusso tra l’oriente e l’occidente, e fino al 1200 questa cosa è stata abbastanza comune. Ho preso l’ispirazione da queste epoche, ma penso che mai nella mia arte si potrà trovare la copia di quelle epoche, o peggio, l’imitazione. Viviamo oggi, abbiamo una comprensione dello spazio, del colore, dell’espressione che appartengono all’oggi. Ma dobbiamo essere tanto sobri e tanto umili da lasciarci ispirare dai grandi periodi e dalle grandi epoche; e poi dobbiamo sapere che l’arte della liturgia e della Chiesa non è l’arte della galleria.”

 

Padre Marko Rupnik intervistato nei pressi del luogo dove verrà collocato il corpo di San Pio, probabilmente dopo l’ostensione.
Foto Korazym.org


Padre Marko, lei ha parlato di contemporaneità, di memoria e di arte. Come si leg
a tutto questo con padre Pio?
“Due cose direi. La prima, che ho anche rappresentato nel mosaico in una scena: da Padre Pio venivano artisti, poeti, registi, attrici, attori. Con loro Padre Pio parlava della vita spirituale. Mi sembra bello questo perchè, per riagganciare il dialogo tra la fede e l’arte, non basta solo organizzare convegni e conferenze su questo argomento. Sicuramente è molto utile ed importante, ma bisogna soprattutto che qualcuno si prenda cura dei rapporti con gli artisti, che non possono essere solo banali e argomentativi. Come faceva Pio, c’è bisogno di una cura spirituale degli artisti. A chi sta a cuore questo argomento? Di cosa si nutrono gli artisti? Di che cosa vivono, dove aspirano? Questo vuol dire memoria, perchè Padre Pio si aggancia ad una grande tradizione della storia. Gli artisti non hanno trovato nella Chiesa solo dei committenti, ma anche tante persone che si confrontavano su cose essenziali. Soprattutto, quanti artisti frequentavano conventi e monasteri. Sia in oriente che in occidente.
L’altra cosa è che siamo in Puglia, una regione di grande memoria. Devo dire che qui mi trovo molto bene, perchè i pugliesi sono di un’apertura straordinaria. E proprio qui ci sono documenti di una memoria straordinaria: romanico pugliese, monumenti dell’arte greca, bizantina; qui c’è proprio l’esperienza di questo flusso e riflusso, dell’ispirarsi a vicenda, di fecondarsi reciprocamente in questo scambio di doni. Questa cosa è straordinaria! Non a caso la Puglia è la regione italiana che ha più mosaici miei: ci sono a Lecce, Modugno, Barletta, Bari e ora a San Giovanni Rotondo, con i suoi duemila metri e oltre di spazio coperto.”

Quante tessere ci sono volute per realizzare il mosaico di San Pio?
“Milioni e milioni… Un numero enorme di ore di lavoro. Siamo sul posto, qui a San Giovanni Rotondo, da mesi, e lavoriamo dalle prime ore della mattina fino a tarda sera. Ma è stato bellissimo, perché abbiamo sentito, oltre ad una straordinaria accoglienza dei frati, anche tanta grazia e familiarità con Padre Pio.”

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