È ancora Comitato ONU contro Santa Sede. Che si difende

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La Santa Sede lo aveva spiegato già la settimana che aveva preceduto la presentazione del rapporto presso il Comitato ONU contro la tortura: inserire la pedofilia tra le fattispecie discusse dalla convenzione sarebbe stato forzare lo spirito della convenzione. Ma l’idea era quella di attaccare la Chiesa proprio attraverso il grimaldello della pedofilia. E così, Felice Gaer, co-rapporteur del Comitato, ha chiesto durante il dibattito se la criminalizzazione dell’abuso sessuale e dell’abuso sessuale sui bambini possa essere considerato tortura. Il nunzio Tomasi ha sottolineato nella risposta di non essere “un giurista”, e che dal suo personale punto di vista questa interpretazione si relaziona ai comportamenti delle persone nel momento in cui quel comportamento entra nello spirito della convenzione. Ma tanto è bastato a Felice Gaer per proclamare alla stampa, in report pubblicati in tutto il mondo, che l’affermazione della Santa Sede è una ammissione o affermazione da parte della Santa Sede.

Il gioco è diventato particolarmente chiaro, ed è comune in tutti i dibattiti con gli Stati parte. Il Comitato ONU propone una interpretazione larga della Convenzione, quasi introducendo nuovi reati che – se contemplati – dovrebbero essere oggetto di nuove trattative tra gli Stati parte che porterebbero alla firma di protocolli addizionali. Il tema pedofilia, poi, è molto sensibile. La Santa Sede è andata al dibattito preparata, fornendo anche le cifre della lotta agli abusi (quasi 850 preti ridotti allo Stato laicale), ma ha sempre messo in chiaro che no, la pedofilia non rientra strettamente nella convenzione contro la tortura Di certo, un rapporto che mette in luce gli scandali della Chiesa ha più probabilità di avere risalto quando prova ad imporre una agenda alla Chiesa.

Le pressioni sono sulla sovranità della Santa Sede, tanto che nell’ultimo incontro con il Comitato ONU per i Diritti del Fanciullo c’erano state persino pressioni sul diritto canonico. Felice Gaer, ebrea, con una reputazione da difensore formidabile dei diritti umani, aveva comunque fatto capire da subito le proprie intenzioni, contestando persino la differenza tra Stato della Città del Vaticano e Santa Sede. Di fronte alle dichiarazioni a mezzo stampa, la risposta della Santa Sede non si è fatta attendere.

Ed è consistita di un comunicato stampa e di una lettera a Claudio Grossman, che presiede il Comitato della Convenzione contro la Tortura. Nel comunicato stampa, viene ripercorso, registrazione alla mano, il dibattito cui si è riferita Felice Gaer.

Queste le risposte del nunzio Tomasi, Osservatore Permanente della Santa Sede presso la sede ONU di Ginevra. “La Convenzione della tortura si applica anche ai minori? Certamente sì, perché ogni questione di abuso riguardante non solo i minori, ma ogni persona è un crimine punito dalla legge penale vaticana, qualunque sia il crimine, e dunque ricade sotto le competenze del Codice Penale”. “La criminalizzazione dei reati di abuso sessuale contro i bambini può essere considerata tortura? Questo è quello che lei ha delineato nel Commento Generale n. 2 e io non sono un giurista, ma ritengo che questa applicazione debba essere relazionata al comportamento delle persone nel momento in cui ricadono nelle definizioni della Convenzione”.

In entrambi i casi, Tomasi ha ripetuto la domanda della Gaer, e ha reso molto chiaro che non stava dando alcuna interpretazione legale allo spirito della Convenzione. Anzi, si è limitato a commentare delle affermazioni (un po’ forzate) della Gaer.

La nota di protesta inviata a Claudio Grossman sottolinea come, dopo il dibattito, la Gaer ha “proceduto a parlare con i media, i quali hanno indicato che Ms. Gaer abbia considerato che le mie risposte siano un ammissione della Santa Sede che la Convenzione debba essere consistentemente interpretata secondo la posizione che lei ha articolato in altri ambienti non ONU, come conferenze accademiche”.

Tomasi prosegue: “E’ problematico che un Co-Rapporteur del Comitato parli pubblicamente – prima che le Osservazioni Conclusive siano stese – riguardo i procedimenti intorno una revisione, e dia le interpretazione che la rappresentazioni degli Stati parte rinforzino le dichiarazioni precedenti e non ufficiali dei membri del Comitato, o cerchi di mettere in luce una particolare interpretazione della Convenzione che possa essere rilevante per le osservazioni finali e conclusioni del Comitato”.

Insomma, giustamente o ingiustamente queste considerazioni possono essere giudicate da un osservatore esterno come “una visione predeterminata o l’intenzione di generare un sentimento pubblico” in favore di alcune osservazioni, mentre le linee guida vorrebbero che il processo di revisione del Comitato dovrebbe garantire che i membri del Comitato siano indipendenti da ogni influenza esterna.

“Se questo tipo di comunicazione esterna non è affrontato e rettificato, la sfortunata conseguenza può essere che le osservazioni conclusive del comitato in questa particolare situazione, e il suo lavoro in generale, siano visti come falsati e guidati da motivazioni personali”, conclude Tomasi.

E in fondo anche il mondo laico si è accorto della forte pregiudiziale dei membri del Comitato, anche nel presentare le domande di Ong ideologicamente in contrasto con la Chiesa Cattolica.

Il Wall Street Journal, in un articolo degli scorsi giorni firmato da David B. Rivkin e Lee A. Casey, ex funzionari del dipartimento della Giustizia sotto le amministrazioni Reagan e Bush, ha sottolineato che avverrebbe “un’insostenibile e perversa interpretazione del trattato” sulle torture qualora l’Onu accogliesse le richieste delle associazioni che in questi giorni chiedono che le Nazioni Unite prendano decisioni contro il Vaticano e la linea con cui ha gestito i casi di pedofilia al suo interno. Perché – scrivono i due – le accuse alla Santa Sede non sono legate unicamente agli abusi dei sacerdoti, ma, per pressione proprio di queste ong, rischiano di allargarsi anche alle posizioni della Chiesa su contraccettivi e aborto. E questo, scrive il WSJ, “potrebbe rappresentare addirittura un macroscopico attacco alla libertà religiosa”.

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