Un altro comitato ONU contro la Santa Sede?

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La grancassa mediatica è già partita. Mentre si avvicina l’appuntamento del 5 maggio, giorno in cui la Santa Sede presenterà la sua relazione al Comitato delle Nazioni Unite sulla Convenzione contro la Tortura, i media hanno diffuso l’informazione che i membri del Comitato hanno intenzione di fare pressione sugli scandali degli abusi su minori da parte dei sacerdoti. Andando oltre lo spirito della Convenzione. Come erano andati oltre lo spirito della Convenzione i membri del Comitato ONU sulla Convenzione per i diritti del Fanciullo, le cui risposte alla relazione della Santa Sede mostravano una certa ansia di mettere sotto accusa la sovranità stessa della Santa Sede, fino a discutere anche il Diritto Canonico.

Ci si aspetta più o meno questo, dall’incontro del prossimo 5 maggio. Ci sono delle cose da chiarire, come sempre. La Santa Sede non si presenta ad un esame. Come tutti gli Stati firmatari della Convenzione, la Santa Sede presenta un Rapporto su come la Convenzione è stata applicata nel loro territorio (nel caso specifico della Santa Sede: come viene applicata sullo Stato di Città del Vaticano). Una procedura standard, per facilitare l’attuazione e l’osservanza della Convenzione attraverso un dialogo aperto e una discussione con i membri del Comitato su eventuali differenze di interpretazione. La Santa Sede presenta il suo rapporto insieme a Uruguay, Thailandia, Sierra Leone, Guinea, Montenegro, Cipro e Lituania.

La Santa Sede ha firmato la Convenzione nel 2002. In teoria, gli Stati parte dovrebbero presentare una relazione un anno dopo la firma della convenzione, e poi ogni quattro anni. In pratica, tutti si prendono del tempo in più. Anche perché la Convenzione non è vincolante, e non ci sono penalità o ripercussioni. E in fondo, il ritardo nella preparazione e presentazione del rapporto è in parte comprensibile. La Santa Sede di fatto, già attuava e promuoveva i principi e le direttive sancite dalla Convenzione . “In questa sessione la Santa Sede, insieme ad altri sette Paesi, adempie questo suo obbligo non solo in maniera formale, ma come incontro costruttivo con gli esperti del Comitato per promuovere ulteriormente il messaggio della Convenzione”, spiega il nunzio Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente presso la Sede ONU di Ginevra.

Che l’impegno della Santa Sede non sia qualcosa di formale, lo testimonia la quantità di trattati internazionali che firma e ratifica. La Santa Sede non ha grandi interessi commerciali e militari da difendere. La sua agenda internazionale è il bene comune. Difende la persona umana promuovendo il suo sviluppo integrale e la sua dignità. Il che significa che leva anche una voce forte in difesa dei più deboli, dei bambini, di quanti sono esclusi dai trattati internazionali, o in qualche modo messi da parte dalle contro ideologie. È in questo impegno che si trova il senso dell’attività diplomatica della Santa Sede.

Ed è anche in questo impegno che si può trovare il senso degli attacchi che vengono portati continuamente alla sovranità stessa della Santa Sede. La presentazione di relazioni alle convenzioni sono occasioni formidabili per portare avanti una certa agenda ideologica. Le “Osservazioni Conclusive” sui rapporti presentati dal Comitato della Convenzione negli ultimi due anni mostrano che i temi su cui si concentrano i membri del comitato sono solo indirettamente collegati al testo e agli intenti della Convenzione stessa.

“Nel contesto delle Nazioni Unite e della cultura pubblica internazionale ci troviamo spesso su due fronti diversi a riguardo di alcuni valori fondamentali che dovrebbero reggere la convivenza sociale, per esempio il diritto alla libertà di opinione e di credo, la difesa del diritto alla vita e l’attenzione ai gruppi più vulnerabili della società. Su questo punto in particolare il contrasto di due culture diverse è evidente, la tradizione cattolica e l’estremo individualismo”, spiega Tomasi.

Anche la sbandierata introduzione nel dibattito della discussione sull’abuso dei bambini è un forzatura: è già disciplinato dalla Convenzione dei Diritti del Fanciullo, e in più i testi sulla Convenzione sulla Tortura non include termini relativi al crimine degli abusi.

Il gioco è quello di attaccare la sovranità della Santa Sede, sottolineando una struttura giuridica che lascerebbe i bambini vulnerabili nei confronti di coloro che vogliono perpetuare e nascondere i crimini sessuali sui minori, favorendo così la tortura e altri atti criminosi che sono considerati nella Convenzione. Eppure, la struttura legale dello Stato di Città del Vaticano è molto ben regolata, e il reato di tortura è stato incorporato nelle leggi dello Stato di Città del Vaticano quando nel 2013 Papa Francesco ha promulgato una Lettera Apostolica sulla giurisdizione degli organi giudiziari dello Stato della Città del Vaticano in materia penale che modifica l’articolo 3 della legge numero VIII che tratta specificamente del crimine di tortura.

Il Motu Proprio aveva lo scopo di estendere l’applicazione delle leggi penali proseguendo l’adeguamento dell’ordinamento giuridico vaticano, in continuità con le azioni intraprese a partire dal 2010 durante il pontificato di Papa Benedetto XVI. Con il Motu Proprio è stato introdotto nella giurisdizione vaticana il delitto di tortura ed è stata ampliata la definizione della categoria dei delitti contro i minori. Sono state introdotte anche figure criminose relative ai delitti contro l’umanità, cui è stato dedicato un titolo a parte: si sono previste, tra l’altro, la specifica punizione di delitti come il genocidio e l’apartheid, sulla falsariga delle disposizioni dello Statuto della Corte penale internazionale del 1998. Dal punto di vista sanzionatorio, inoltre, si è deciso di abolire la pena dell’ergastolo. La modifica alla legge IX pure apportata nel 2013 ha consentito di inserire, fra le altre cose, il divieto di estradizione verso Paesi che praticano la tortura o usano la pena capitale.

C’è dunque una legislazione precisa in Vaticano che disciplina la tortura. Come l’impegno portato avanti da Benedetto XVI e ora da Papa Francesco nella lotta alla pedofilia non è facilmente trascurabile. Dal 2004 più di 700 sacerdoti colpevoli di abusi sessuali contro minori, sono stati ridotti allo stato laicale direttamente dalla Santa Sede. Negli Stati Uniti oltre l’assistenza psicologica le varie diocesi hanno pagato 572.5 milioni di dollari per spese legali e di trattamento e inoltre, come compensazione alle vittime, più di 1.3 miliardi di dollari fino ad oggi. E proprio in questi giorni si sta riunendo in Vaticano la Pontificia Commissione per la Protezione dei Minori, che sta definendo compiti e definizione in questi giorni.

Il gioco delle approssimazioni però è semplice. La Santa Sede deve relazione su come la convenzione è applicata sullo Stato di Città del Vaticano. Ma gli attacchi spesso vanno oltre, sostenendo che la Chiesa è responsabile di tutti i cattolici nel mondo. Falso. La Santa Sede non considera tutti coloro che sono liberamente associati spiritualmente con la Chiesa in tutto il mondo come se fossero membri e cittadini sotto la giurisdizione dello Stato di Città del Vaticano. Sarebbe una chiara violazione della loro sovranità.

Il dibattito, tutto incentrato sulle eventuali responsabilità della Chiesa, ci porta sempre lontano dallo spirito della Convenzione. E anche dal senso dell’impegno della Santa Sede, dedicato appunto ai più deboli. Uno degli scopi della Santa Sede nell’aderire al trattato è quello di evitare – come richiede la Convenzione – che i bambini vengano torturati e uccisi prima di nascere.

“Non c’è dubbio che i bambini lasciati morire soffrono una forma chiara di tortura”, afferma Tomasi. Per esempio, in Canada tra il 2000 e il 2011, 622 bambini nati vivi dopo un aborto sono stati lasciati morire come pure 66 nel Regno Unito nel 2005. Alcuni metodi di aborto ritardato costituiscono pure tortura specialmente nel caso detto “dilatation and evacuation”: il feto ancora vivo è smembrato per essere tirato fuori a pezzi dall’utero.

Le osservazioni conclusive del Comitato saranno pubblicate il prossimo 23 maggio. Nel frattempo, c’è da scommettere che sui media si continuerà a sottolineare il problema degli abusi, utilizzando come un grimaldello per portare avanti una agenda precisa. C’è da considerare però che queste pressioni, anche se fanno presa sull’opinione pubblica, non hanno conseguenze sugli Stati. Nel caso in cui si decidesse di introdurre nuovi crimini all’interno della Convenzione, gli Stati dovrebbero concordare e ratificare dei protocolli addizionali.

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