Papa Giovanni XXIII: uomo del dialogo

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Nell’enciclica ‘Pacem in terris’ il papa, santo Giovanni XXIII, scrive: “In una convivenza ordinata e feconda va posto come fondamento il principio che ogni essere umano è persona cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi è soggetto di diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili. Che se poi si considera la dignità della persona umana alla luce della rivelazione divina, allora essa apparirà incomparabilmente più grande, poiché gli uomini sono stati redenti dal sangue di Gesù Cristo, e con la grazia sono divenuti figli e amici di Dio e costituiti eredi della gloria eterna”.

All’indomani della sua santificazione, concludiamo questa lunga intervista al pronipote del papa santo, Marco Roncalli, autore del libro ‘Papa Giovanni il santo’, chiedendo di spiegarci quanto ha influito la sua azione diplomatica di pace, quando è divenuto papa: “Direi molto. Perché dietro gli appelli c’è stato anche un lavorio discreto sotto la sua regia. Quanto oggi possiamo leggere su tanti documenti lo comprova. Sappiamo che durante la crisi di Cuba nell’ottobre del 1962 all’improvviso i missili russi vennero smantellati e gli Usa levarono l’assedio navale. Le navi sovietiche invertirono la rotta. L’ordine era di ritornare.

E sappiamo che il 26 ottobre la Pravda pubblicò in prima pagina l’appello papale. Per la prima volta le parole di un pontefice apparvero sull’organo del Pcus. Ma sappiamo pure che solo nella tarda primavera del 2000, Anatoly Krasikov, rintraccerà negli archivi di Washington i telegrammi dell’ambasciatore americano a Roma che informavano il presidente Kennedy sull’azione di pace del pontefice. Il presidente cattolico li aveva nascosti anche al suo staff. Probabilmente aveva fatto la stessa cosa Kruscev a Mosca. Evidentemente i due temevano, per ragioni di politica interna, di essere accusati di seguire il papa e fecero di tutto per celare le loro reazioni, salvo poi seguire le richieste di Giovanni XXIII.

Anche grazie alla pubblicazione curata da Giovanni Barberini delle ‘Carte Casaroli’, dall’archivio dell’ex Segretario di Stato vaticano, si sono avute altre conferme. In un appunto relativo alla crisi dei missili si legge che Kennedy intervenne su Giovanni XXIII perché ‘solo un interessamento del Papa avrebbe potuto scongiurare la grave minaccia di un conflitto… La cosa fu riferita al papa, il quale si decise a parlare. Si dovette proprio al suo intervento, si ripeté da persone autorevoli delle due parti, se fu allontanata dal mondo la minaccia di un conflitto atomico’.

Ma l’esito fu richiamato dallo stesso Giovanni rilevando come la pace battesse ormai alle porte: ‘si affaccia un po’ qua un po’ là: e promette, mentre queste porte cominciano ad aprirsi, di giungere alla sua piena affermazione’; non solo, il pontefice alluse pure al momento in cui gli erano ‘arrivate le prime notizie di una quiete che va e andrà sempre più estendendosi, nel senso che noi definiamo cristiano’, una pace che solo così sarebbe stata vera e avrebbe reso «veramente tranquilla la famiglia umana’.

Né mancano eloquenti cenni dello stesso pontefice nel diario del 20 novembre 1962 (‘Ricevetti[…] il sig. Jerzy Zawieyski polacco confidente del Card. Wyszynski, e bene accetto al Sig. Gomulka il quale lo incaricò di portare il suo saluto al Papa, e di dirgli che la liquidazione del terribile affare di Cuba egli la ritiene dovuta allo stesso Pontefice’) e del Natale dello stesso anno (‘L’orizzonte politico e internazionale quest’anno, è da qualche giorno assai migliorato nel senso della pace mondiale. Dalle voci più autorevoli del mondo politico sembrerebbe convinzione comune che questo periodo di pubblica pace si debba all’azione del Papa’).

E un altro frammento interessante, che pubblico nella nuova biografia, sta nel diario della prima settimana del Concilio tenuto dal segretario, oggi cardinale, mons. Loris Capovilla. Alla data 25 ottobre 1962 si legge: ‘Messaggio di pace del Papa ore 12. Ottimo lavoro compiuto in questi giorni di crisi cubana dalla Segreteria di Stato. Ma il clima non è di paura. Ci si sente sicuri che la scintilla non scoccherà. Il Papa prega molto. Mons. Dell’Acqua mi dice: A Washington e a Mosca gradimento per le parole del S. Padre’. ‘Che notizie mi porta del Papa? È vero che è malato? […]. Ha avuto una parte di primo piano nel salvare la pace, nei giorni terribili della crisi di Cuba’, dirà Kruscev a Cousins al Cremlino il 13 dicembre 1962. A quella data Giovanni XXIII avrà già deciso di consacrare l’ultima parte del suo pontificato proprio alla pace”.

Nell’enciclica ‘Ad Petri Cathedram’ papa Giovanni ha illustrato i tre compiti del Concilio Vaticano II per ‘un salutare rinnovamento dei costumi del popolo cristiano’: cosa resta oggi del suo insegnamento?
“In quell’enciclica c’è anche altro soprattutto direi l’invito a considerare ‘non ciò che divide gli animi, ma ciò che li può unire nella mutua comprensione e nella reciproca stima’. Parole datate 29 giugno 1959, tratte da un testo tra i meno citati, ma per certi versi già manifesto programmatico, ottimista e guardingo, del pontificato. Quello resta tutto!”

Perchè Giovanni XXIII ha sempre incoraggiato l’ecumenismo?
“Giovanni XXIII era portato da Dio all’arte dell’incontro, perché vedeva negli altri dei fratelli… Non dimentico mai alcuni testi come la lettera scritta ad un giovane ortodosso che voleva venire a studiare a Roma o l’ultima omelia turca di Pentecoste: testi tutti da riscoprire. Il 27 luglio 1926 a Christo Morcefki spiega chiaramente di non trovarsi ‘in condizione di corrispondere ai suoi desideri’ invitandolo ‘ad approfittare degli studi e della educazione nel Seminario di Sofia’.

E aggiunge: ‘I Cattolici e gli Ortodossi non sono dei nemici, ma dei fratelli. Abbiamo la stessa fede; partecipiamo agli stessi sacramenti, soprattutto alla medesima Eucaristia. Ci separano alcuni malintesi intorno alla costituzione divina della Chiesa di Gesù Cristo. Coloro che furono causa di questi malintesi sono morti da secoli. Lasciamo le antiche contese, e, ciascuno nel suo campo, lavoriamo a rendere buoni i nostri fratelli, offrendo loro i nostri buoni esempi […]. Più tardi, benché, partiti da vie diverse, ci si incontrerà nella Unione delle Chiese, per formare tutte insieme la vera ed unica Chiesa di N. S. Gesù Cristo…’. Nel secondo, che la dice lunga su come per Roncalli l’Oriente sia stato una scuola di ecumenismo’.

Il 28 maggio 1944, finisce per stilare una vera ‘Magna Carta dell’ecumenismo’. Solo uno stralcio di quelle parole indimenticabili: ‘Ecco, noi cattolici latini di Istanbul, e cattolici di altro rito armeno, greco, caldeo, siriano ecc., siamo qui una modesta minoranza che vive alla superficie di un vasto mondo con cui abbiamo solo contatti di carattere esteriore. Noi amiamo distinguerci da chi non professa la nostra fede: fratelli ortodossi, protestanti, israeliti, musulmani, credenti o non credenti di altre religioni: chiese nostre, forme di culto tradizionali e liturgiche nostre. Comprendo bene che diversità di razza, di lingua, di educazione, contrasti dolorosi di un passato cosparso di tristezze, ci trattengono ancora in una distanza che è scambievole, non è simpatica, spesso è sconcertante.

Pare logico che ciascuno si occupi di sé, della sua tradizione familiare o nazionale […]. Miei cari fratelli e figliuoli: io debbo dirvi che nella luce del Vangelo e del principio cattolico, questa è una logica falsa. Gesù è venuto per abbattere queste barriere; egli è morto per proclamare la fraternità universale; il punto centrale del suo insegnamento è la carità, cioè l’amore che lega tutti gli uomini a lui come primo dei fratelli, e che lega lui con noi al Padre. So bene che subito mi si levano innanzi difficoltà d’ambiente che possono contrastare a questa libera espansione dell’anima […].

Ma voi sapete bene che al di là della linea ufficiale che arresta alcune manifestazioni dell’apostolato pubblico e solenne e che il buon cattolico si guarda bene di sorpassare, c’è tutta una infinità di rapporti innumerevoli e di contatti che sono in piena conformità alle leggi del paese, e che permettono in un orizzonte di riconosciuta libertà individuale, molteplici possibilità di trasmettere il messaggio divino’. Le traiettorie dei popoli sono lette dentro un piano divino di salvezza del mondo. Le barriere che devono cadere nell’utopia di una fraternità universale si spingono agli steccati che separano gli ebrei, per i quali tanto ha lottato in questo periodo, ma anche i musulmani.

‘In Turchia Roncalli capì che non si può procedere soltanto con i principi del diritto canonico, ma bisogna avvicinare la gente, ascoltarla… Penso che questo abbia fatto parte del suo progetto. Una Chiesa, se vogliamo, più dialogante, più attenta, più rispettosa della gente, più pronta a lasciarsi anche interrogare’, mi disse in proposito una volta il card. Martini”.

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