“Fu Giovanni XXIII ad evitare la III Guerra Mondiale”

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“Un galantuomo, un bravo e santo cristiano che ha vissuto fino in fondo la sua vita di sacerdote, di vescovo e di papa in maniera assolutamente normale”. Così padre Marco Malagola, frate francescano, definisce Giovanni XXIII, “un papa che ho tanto amato e servito da vicino” da quella “cabina di regia” che è la Segreteria di Stato. Originario di Luino (Varese), padre Malagola divenne infatti nel 1959 segretario di mons. Angelo Dell’Acqua, Sostituto della Segreteria di Stato vaticana nonché braccio destro di papa Roncalli. Fu questo il primo di una serie di incarichi che lo portarono poi a girare il mondo: dalla missione tra i kanaka in Papua Nuova Guinea a quella permanente della Santa Sede presso l’ONU a Ginevra, dalla Nunziatura Apostolica a Bruxelles fino a Gerusalemme come responsabile della Commissione dei Diritti Umani della Custodia di Terra Santa… “Non sono molti i posti in cui non sono stato”, scherza il francescano prima di iniziare a raccontare “da testimone e semplice frate quello che ho visto, quello ho saputo” a quanti sono convenuti a Varallo Sesia (Vercelli), in occasione di Passio Novara.

“Un papa amico degli uomini e dell’umanità. Questo è stato Giovanni XXIII, terziario francescano pacifico e pacificatore in un mondo diviso in un profondo stato di disordine. L’uomo dell’incontro tra i popoli in conflitto e mediatore intelligente alla ricerca della pace in un difficile contesto di crisi internazionale.”

L’inizio del disgelo

La mente corre all’inizio del suo pontificato; erano i tempi della guerra fredda. “Il nuovo Papa, appena eletto, scoprì la diplomazia vaticana non sufficientemente attiva nei confronti dell’area europea orientale politicamente comunista. Si temeva che un rapporto diretto della diplomazia vaticana con quei governi avrebbe significato aggirare e tradire la cosiddetta Chiesa del silenzio e stringere la mano ai suoi persecutori. D’altra parte quella vasta porzione di cristianità tagliata fuori da ogni contatto con Roma costituiva l’acuto e struggente tormento di un padre, come papa Giovanni, consapevole di avere una moltitudine di figli privati della libertà di esprimere ed esercitare la propria fede.”

E’ da questa grave preoccupazione che Papa Roncalli dette il via alla paziente e progressiva stagione del disgelo nei confronti dell’area comunista. Il primo segnale davvero incoraggiante arrivò nel 1961, tre anni dopo la sua elezione. “Era il 25 novembre quando il Segretario del partito comunista dell’Urss, Nikita Krusciov, dal Cremlino fece arrivare in Vaticano, tramite l’ambasciatore sovietico a Roma Kozyrev, un sorprendentemente caloroso messaggio augurale per l’ottantesimo compleanno di Giovanni XXIII”. Un fatto assolutamente insolito ed insperato: “Ci si guardava stupiti in Segreteria di Stato”.

“Fu soprattutto per l’intervento personale di Giovanni XXIII che si evitò la catastrofe di una terza guerra mondiale nucleare”

Tuttavia la tensione politica era destinata a crescere, raggiungendo il culmine due anni dopo, con la crisi dei missili di Cuba. “Dalla fine della seconda guerra mondiale, mai la pace era stata tanto a rischio come in quei drammatici giorni dell’ottobre 1962. Da un momento all’altro poteva scoppiare una nuova guerra di tipologia nucleare con conseguenze inimmaginabili: lo scontro avrebbe trascinato l’umanità intera verso un conflitto mondiale atomico”. Il mondo seguiva la situazione col fiato sospeso. “Ricordo che in Segreteria di Stato, in un clima di intensa e febbrile attività diplomatica, era un susseguirsi di incontri incrociati di diplomatici e di emissari personali dei responsabili delle opposte posizioni”. Tra tutti, il giornalista americano Norman Cousins, “protagonista discreto e informale nelle trattative e nei contatti tra Kennedy, Krusciov e i diplomatici vaticani, tra cui spiccava il Capo del Protocollo mons. Igino Cardinale.” La situazione era drammatica, e il tempo stringeva. Finché non si fece largo l’idea “di un possibile arbitrato che consisteva nella ricerca di una autorità a livello alto, mondiale, super partes, accetta e gradita da entrambe le parti”. Si concordò che questa autorità non potesse essere che Giovanni XXIII: “Il suo intervento non sarebbe stato sospetto di parzialità politica e avrebbe permesso sia a Kennedy che a Krusciov di salvare la faccia e uscire onorevolmente dalla critica situazione”. Il Papa si mostrò disponibile e “accettò con entusiasmo il ruolo di mediatore”. Era il 25 ottobre quando – attraverso gli ambasciatori russo e americano a Roma – inviò un messaggio personale a Krusciov e a Kennedy affinché, “in nome dell’umanità, mettessero una mano alla coscienza e rinunciassero all’uso della forza”. “Fu sorprendente il fatto che il giorno dopo, 26 ottobre, la Pravda pubblicasse in prima pagina il messaggio di Papa Roncalli. La risonanza fu enorme e si poté raggiungere una soluzione di compromesso che favorì il ritiro dignitoso dei due contendenti dalla zona del possibile scontro.” Fu così che le navi russe cariche di testate nucleari dirette all’Avana invertirono la rotta e lo scontro frontale con la flotta americana fu scongiurato. Già, “fu soprattutto per l’intervento personale di Giovanni XXIII che si evitò la catastrofe di una terza guerra mondiale nucleare”. Rivelerà poi Krusciov a Cousins il 13 dicembre 1962: “L’appello del papa per risolvere la crisi di Cuba fu come un vero raggio di luce liberatore. Gliene fui molto grato. Mi creda, quelli furono giorni veramente pericolosi”.

La Pacem in terris, testamento spirituale

Prosegue padre Malagola: “Mons. Angelo Dell’Acqua, che ebbe un ruolo importantissimo nella trattativa con altri diplomatici vaticani, mi confidava che fu da quella terribile crisi cubana che papa Giovanni pensò e decise di scrivere un’enciclica che aprisse l’inizio a un’approfondita riflessione sulla pace nel mondo, al fine di svilupparne la cultura”.

La Pacem in terris vide la luce l’11 aprile 1963, Giovedì Santo, un mese dopo lo storico incontro tra il papa e la figlia di Krusciov col marito, in Vaticano. Proclamata e pubblicata a poche settimane prima della sua morte, “l’enciclica voleva essere non solo il suo testamento spirituale, ma anche il suo dono all’umanità.”

Era un inno alla pace, ma prima ancora “un inno alla persona umana, alla sua verità, ai suoi diritti, ai suoi doveri. Ci ricordava che fondamento della pace è la verità della persona umana. Sono certo che, se Giovanni XXIII fosse vissuto qualche anno in più, dopo aver tolto dalla liturgia del Venerdì Santo l’accenno ai “perfidi giudei”, avrebbe aggiunto nella recita del Credo un’affermazione come questa: “Credo nella dignità di ogni persona umana”.

La reazione del mondo politico fu entusiasta. Dopo aver letto l’enciclica, John Kennedy dichiarò: “Sono fiero di essere cattolico”. Anche il segretario del Partito comunista sovietico, Nikita Krusciov, espresse in una lettera al cancelliere tedesco Adenauer la propria completa adesione al pensiero del Papa: “Io sono un ateo e un comunista e non posso condividere la visione filosofica del mondo di Giovanni XXIII, ma io sostengo il suo impegno per la pace”. Fu allora che, “sul terreno della pace e della distensione, e nonostante i due non si siano mai incontrati, si stabilì un interessante rapporto di spontanea amicizia tra Krusciov e Giovanni XXIII. Un contatto di carattere prettamente personale”.

Indubbiamente quell’enciclica segnò un momento decisivo nella storia del mondo, ancora diviso in due blocchi. Attraverso di essa, il Papa “invitava i popoli a liberarsi dai condizionamenti ideologici, per avviare tra essi un dialogo che portasse a una coesistenza pacifica e a una convivenza fondata sul rispetto reciproco”. Fu così l’inizio “di un sorprendente sgretolamento a valanga del sistema comunista: dal vertice della piramide dell’impero russo fino all’ultimo Paese satellite”. “In quegli anni – ricorda il francescano – alle Nazioni Unite era facile notare sul volto dei diplomatici comunisti lo smarrimento e la delusione per ciò che stava accadendo: un ribaltamento della situazione geopolitica dell’est europeo. Era come se la storia ad un certo momento avesse detto basta”.

“Il ritratto di papa Giovanni nel museo dell’ateismo a Mosca”

Padre Marco interrompe il filo degli eventi: “Mi si consenta un ricordo del tutto personale. Nel dicembre 1968, sei anni dopo la crisi cubana, il diplomatico vaticano mons. Agostino Casaroli, infaticabile e paziente negoziatore dell’Ostpolitik in seguito nominato Segretario di Stato, pensò di inviarmi a Mosca”. Un breve viaggio apparentemente turistico, ma in realtà motivato da delicate ragioni di servizio: “Casaroli voleva che il “cervello” del Cremlino accettasse un incontro con lui, ma era difficile incontrare i suoi emissari: il regime era ancora poliziesco e c’erano microspie ovunque negli ambienti diplomatici. Ricordo quella notte di dicembre con quaranta, cinquanta gradi sotto zero sul ponte della Moscova, dove non potevano esserci microspie… Da una parte si scende, si parla ed ecco il messaggio che io dovevo portare in Vaticano”. Ma non è questo ciò che di quella missione il frate ricorda con maggiore emozione: “Ebbene, durante il mio soggiorno in Unione Sovietica, visitai per pura curiosità l’allora famoso museo dell’ateismo di Mosca, scuola di indottrinamento sistematico della negazione di Dio aperto soprattutto alle scolaresche della nazione”. Padre Marco era accompagnato dall’amico Vittorio Citterich, allora corrispondente Rai. “In una sala di quel museo ci imbattemmo, incredibile ai nostri occhi, in un ritratto di papa Giovanni XXIII. Aveva il volto sorridente e sotto, in russo, la scritta: Un uomo di pace! Ci guardammo increduli e stupiti. Perfino nel museo dell’ateismo papa Giovanni aveva trovato aperta accoglienza e onorata cittadinanza!”

D’altronde Krusciov aveva rivelato a Cousins: “Rispetto a ciò che papa Giovanni XXIII ha operato per la pace, devo dire che il suo intervento altamente umanistico sarà ricordato nella storia”. Lo stesso Giovanni XXIII scriveva nella Pacem in terris: “In questa enciclica di mio c’è anzitutto l’esempio che volli dare nel corso della mia esistenza”.

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