Canonizzazioni, il rischio di strumentalizzare i Papi

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C’è un rischio di strumentalizzare le figure dei Papi? Se lo chiede Gianfranco Svidercoschi, vaticanista di lungo corso, vicedirettore dell’Osservatore Romano negli anni Ottanta. Amico di Giovanni Paolo II, al quale ha dedicato moltissimi libri – l’ultimo, “Ho vissuto con un santo”, scritto insieme al card. Stanislao Dziwisz, lo storico segretario particolare del Papa polacco – Svidercoschi è rimasto colpito dalla pubblicazione su un noto quotidiano italiano della deposizione cardinal Carlo Maria Martini al processo per la beatificazione di Giovanni Paolo II. Una deposizione che metteva in luce una sfumata contrarietà del cardinal Martini alla beatificazione del Papa. Ma il punto, secondo Svidercoschi, è un altro: “Che cosa significava dare luce a questo giudizio storico in questo momento storico?”

“Forse – medita Svidercoschi – c’era la voglia di mettere in contrapposizione Papa Francesco con i predecessori, salendo sul carro del vincitore, perché una figura come Wojtyla di certo potrebbe fare ombra al pontificato. O forse c’era la voglia di normalizzare il nuovo Papa, in questa marea di consenso. Quello che è successo è comunque grave, si vuole creare una contrapposizione tra Papi”.

Ci sono vari indizi, secondo Svidercoschi, che l’operazione sia strumentale. Perché Martini rende una deposizione sfumata, basata sui problemi del pontificato, sottolineando la non opportunità di una canonizzazione, ma di certo non negando la santità della persona. E – afferma Svidercoschi – “io ho conosciuto Martini, era una persona di grande intelligenza, non era persona da mettere i suoi problemi personali avanti a quelli della Chiesa. Quando nella deposizione parla dello spazio dato ai movimenti ecclesiali a discapito delle chiese locali, ad esempio, sembrerebbe mettere davanti a tutto i problemi che lui ha avuto in diocesi con i movimenti. Ma è vero anche che Giovanni Paolo II aveva anche bastonato i movimenti. E allora nella deposizione così come è stata resa nota non c’è forse la trasposizione dei suoi problemi personali?”

Di fronte alla statura e alla levatura di Martini, Svidercoschi sostiene che è possibile che “qualcuno abbia usato la figura di Martini per dire certe cose”. Insomma, per portare avanti una agenda. “Chi era il vero Martini? Nell’intervista pubblicata postuma parlava di una Chiesa indietro di 200 anni. Ma, il 27 dicembre 2009, nella sua rubrica domenicale sul ‘Corriere della Sera’, lui personalmente scrive che la Chiesa non è mai stata così fiorente, per la levatura dei Papi, per la qualità dei vescovi… e allora c’è una contraddizione patente tra quello che diceva nel 2009 e quello che ha detto nell’ultima intervista. Di più: c’è una contraddizione tra quello che lui diceva e quello che gli altri vogliono farli dire”.

Si gioca sull’ambiguità delle deposizioni, “prese così, messe in pasto alla pubblica opinione, che rischiano persino di cambiare la storia attorno al Papa e la storia stessa del Papa”.

Un esempio è la deposizione del generale Jaruzelsky (anche quella resa pubblica in un recente libro), colui che in Polonia attuò il colpo di Stato con cui prese il potere nel 1981, introducendo la legge marziale. Questi – racconta Svidercoschi – “nella deposizione parlava in termini idilliaci del viaggio di Giovanni Paolo II in Polonia nel 1983. Ma se mi parla di quel viaggio in termini idilliaci, probabilmente non era lì. Può essere idilliaco un viaggio in cui il Papa arriva a Varsavia e, quando gli dicono che non avrebbe avuto la possibilità di vedere Lech Walesa, il leader del sindacato cattolico Solidarnosc, si volta verso la scaletta dell’aereo minacciando di andarsene? Può essere idilliaco un viaggio in cui la delegazione del governo chiede al Papa di non citare la parola Solidarnosc? Può essere idilliaco un viaggio in cui, quando il Papa vede finalmente Walesa, lo trascina nel corridoio, perché tutti i camerieri erano stati sostituiti da poliziotti?”

Un altro esempio riguarda quelli stralci di deposizioni in cui un amico di Giovanni Paolo II dice che il Papa gli avrebbe confidato che gli sarebbe piaciuto andare a confessare a Medjugorije. “Ma il card. Dziwisz mi ha subito spiegato che era falso. Che Giovanni Paolo II vedeva con favore il fervore popolare che aveva portato il ritorno delle persone alla Chiesa. Ma che allo stesso tempo era prudente: aveva istituito una commissione su Medjugorje, ma si è mantenuto distante, non ha mai voluto ricevere i veggenti”.

Sono tutti questi i motivi che fanno pensare a una strumentalizzazione delle deposizioni. Anche perché – sottolinea Svidercoschi – “le deposizioni sulla vita contano per il processo di beatificazione. Nella canonizzazione si guarda alla persona”. E poi perché “si chiede di andare a deporre. Il postulatore chiama a deporre solo alcune persone che considera particolarmente importanti. Ma chiunque voglia contribuire alla procedura di beatificazione e canonizzazione può andare a deporre. Così ha fatto anche Jorge Mario Bergoglio, allora arcivescovo di Buenos Aires. Anche la sua deposizione è stata pubblicata. Fu lui a voler partecipare al processo”.

Un processo che era stato spinto anche dai cardinali in conclave, con una raccolta firme promossa dal card. Jozef Tomko. Ma Benedetto XVI aveva derogato sulla data di inizio del processo di beatificazione e canonizzazione, non aspettando i cinque anni dalla morte di Giovanni Paolo II. Un modo per evitare le strumentalizzazioni. E successe persino che alcuni tra i cardinali promotori non fossero nemmeno andati a deporre. Poi fecero una piccola retromarcia. “I cardinali volevano inizialmente prendere quel moto di affetto popolare per Giovanni Paolo II, era una decisione forse anche strumentale,” dice Svidercoschi. E oggi c’è ancora questa voglia di strumentalizzare il Papa?

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