Il volto di Cristo nel volto dell’uomo. Le meditazioni di monsignor Bregantini per la Via Crucis 2014 al Colosseo

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Il dramma della disoccupazione. L’incertezza della precarietà sul lavoro.  I suicidi di chi aveva un’impresa e si è ucciso per l’angoscia di non poter più andare avanti. L’alienazione dei giovani in preda all’alcol e alle droghe. La rabbia e l’inquietudine di madri e padri costretti a vivere in terre contaminate e che vedono colpite la loro dignità e la salute personale e dei figli. La solitudine di quanti sono in carcere a scontare la loro pena o abbandonati in una corsia di ospedale, assaliti da una malattia irreversibile. Le traversie dell’uomo contemporaneo, le sue paure, le sue frustrazioni rivivono nelle riflessioni composte per le 14 stazioni della Via Crucis, che per questo 18 aprile, Venerdì Santo, Papa Francesco ha affidato alla penna dell’arcivescovo di Campobasso-Bojano, monsignor Giancarlo Maria Bregantini. Le meditazioni accompagneranno la sequela del Papa e dei fedeli nella consueta celebrazione del percorso doloroso di Gesù, che si svolge come tradizione sulle pendici del Colosseo.

“Davanti al volto dell’uomo che soffre, di profilo c’è sempre il volto di Gesù” – ha spiegato monsignor Bregantini intervistato dalla Radio Vaticana. “E più guardi quello dell’uomo, più scopri che dietro c’è bisogno del suo volto. E più leggi il volto di Gesù, più senti che s’incarna oggi nelle mille sofferenze del nostro tempo, ma che Lui è già presente in ogni lacrima”.

Nelle 14 meditazioni scritte dal sessantatreenne religioso stimmatino trentino, inviato da Benedetto XVI alla guida della diocesi molisana dopo un ricco episcopato a Locri, in Calabria, dove si segnalò per la sua denuncia senza mezzi termini contro lo strapotere delle cosche, rivive quasi in simultanea la sofferenza di Gesù che si accompagna a quello dell’uomo tribolato. E così nella prima stazione, dove Gesù è condannato a morte, Bregantini si interroga sul tema della giustizia. “Quel Gesù che è passato tra noi, sanando e benedicendo, ora viene condannato alla pena capitale. Nessuna parola di gratitudine dalla folla, che sceglie invece Barabba”. Una condanna veloce, superficiale, in cui riaffiora l’argomento delle accuse facili, dei tanti ‘mostri’ sbattuti in prima pagina, accusati da lettere anonime e da calunnie e maldicenze.

E quali sono le tante croci di cui è caricato l’uomo oggi, come Cristo nella seconda stazione? La precarietà, la disoccupazione, i licenziamenti facili, la corruzione, l’usura sono alcuni dei tanti ‘pesi’ che gravano sulle spalle di uomini inerti e indifesi, che solo in Gesù e nel suo aiuto  possono trovare la forza di creare “ponti di solidarietà e di speranza”. Il “Gesù fragile, umanissimo” della terza stazione, la prima caduta, rivela il suo immenso amore per i ‘caduti’ e i ‘fragili’ del nostro tempo: gli emarginati, gli immigrati, chi richiede asilo e bussa alla nostra porta per trovare conforto e accoglienza.

Le lacrime di Maria alla visione del volto di Gesù, provato dal dolore, della quarta stazione portano monsignor Bregantini a riflettere sulle tante lacrime delle madri del mondo. Quelle che piangono per i figli morti in guerra, per i bambini-soldato, per i piccoli stroncati dai tumori nelle terre inquinate, per i giovani colpiti dalle fumisterie nocive degli alcolici e degli stupefacenti. Ma anche dal cammino doloroso della Croce può apparire una speranza. L’aiuto offerto a Gesù nel portare la croce, la quinta stazione, diviene metafora di una sana relazione di cooperazione con gli altri. Il Cireneo di oggi diventa il volontario che passa una notte in veglia all’ospedale, che presta senza usura, che condivide il pane con chi ne è senza.  Che asciuga le lacrime, coma la Veronica della sesta stazione, “non solo  per alleviare, ma per partecipare”.

La seconda caduta di Gesù, settima stazione, è la condizione di chi è “oppresso, accerchiato, circondato dalla violenza e privo di forze”. Si riconosce in lui l’esperienza amara dei detenuti, “spinti con forza per cadere” in un luogo, il carcere, sentito come lontano, dimenticato, sovraffollato, da cui è difficile riuscire usufruendo di un pieno riscatto sociale e di un reinserimento lavorativo dignitoso. Alle donne, quelle di Gerusalemme dell’ottava stazione, e  quelle di oggi è dedicata la meditazione successiva. “Piangete per voi e per i vostri figli!”. E “piangiamo noi – scrive l’arcivescovo – su quegli uomini che scaricano sulle donne la violenza che hanno dentro. E sulle donne schiavizzate dalla paura e dallo sfruttamento”.  Terza caduta di Gesù, nona stazione, e meditazione sul cadere da cui rialzarsi, sulla sofferenza che si apre alla vita, come le doglie del parto per la donna, come la paura che blocca e impedisce di risollevarsi, come il ‘si è sempre fatto così!” che chiude alla sperimentazione di nuovi orizzonti. “Quel Gesù che barcolla e cade, ma poi si rialza, è la certezza di una speranza!”. Il cammino di Gesù si sta compiendo, le ultime quattro stazioni segnano la via verso il punto più alto del percorso del servo sofferente.

Nella decima stazione si ricorda la spogliazione delle vesti di Gesù compiuta dai soldati. Quella tunica strappata è un invito a fare memoria dell’unità della Chiesa, scrive ancora monsignor Bregantini, un’unità “ da ritrovare in un cammino paziente, in una pace artigianale, costruita ogni giorno”. Gesù è messo in croce, ricorda ai fedeli l’undicesima. Come Gesù, tanti “sono inchiodati a un letto di dolore, negli ospedali, nelle case di riposo, nelle nostre famiglie”.  E la “nostra mano” – prosegue il pastore di Campobasso – non sia per trafiggere, ma per accompagnare e consolare. “La malattia non chiede permesso. Giunge sempre inattesa. Sconvolge, limita, mette a dura prova la speranza. Solo se troviamo accanto a noi qualcuno che ci ascolta, ci sta vicino, si siede sul nostro letto, la malattia diventa una grande scuola di sapienza”. E poi, il dolore della grande solitudine che Gesù ha provato, come dice la dodicesima stazione, nella morte in croce.  Che viene spezzata solo da Maria e da Giovanni, che rompono la paura per riempirla “di tenerezza e di speranza.

Gesù non si sente più solo. Come per noi, se accanto al letto del dolore c’è chi ci ama!”.  “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. “Ricordati di me…”. “Donna, ecco tuo figlio!”. “Ho sete!”. “E’ compiuto!”. “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Come tanti altri autori, Bregantini rilegge le ultime sette parole di  Gesù in croce come “un capolavoro di speranza”. Gesù “attraversa il buio della notte per abbandonarsi al Padre”. Dal grido di Giobbe alla compagnia con gli ultimi, dalla figliolanza alla sete di libertà e giustizia, dal tutto che si compie al perdono che risana e rinnova all’abbandono della disperazione del nulla, tutto ritrova in Dio la sua unità. E diventa carità nel servizio ai fratelli, come in Giuseppe d’Arimatea che accoglie il corpo deposto dalla croce, tredicesima stazione, e attesa del Regno, a cui rimanda la quattordicesima e ultima stazione.

Dal giardino dell’Eden, dove l’uomo – per disobbedienza – perse la sua bellezza al giardino del sepolcro, luogo di speranza di salvezza. “Quel sepolcro rappresenta la fine dell’uomo vecchio. La morte ci disarma, ci fa capire che siamo esposti a un’esistenza terrena che ha un termine”. E in quell’attesa nel giardino, tra la certezza della scomparsa e la speranza della novità, “finalmente vediamo il volto del nostro Signore. E conosciamo in pienezza il suo nome: misericordia e fedeltà, per non restare mai confusi, nemmeno davanti alla morte”.

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