L’acqua e la sete

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L’uomo ha sete di Dio: è questa la sua grandezza! Il salmista traduce questo anelito in preghiera: O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia, a te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz’acqua (Sal 62,2). Nel Salmo 142 invoca: A te protendo le mie mani, sono davanti a te come terra riarsa (v. 6).

Nella vasta pianura, tra colline calcaree, ai piedi del monte Garizim, vi è il pozzo di Giacobbe, scavato in un appezzamento di terreno che il patriarca aveva acquistato e che poi lasciò in eredità a Giuseppe, il quale trovò lì la propria sepoltura. In questo luogo circondato di venerazione, avviene l’incontro, con un serrato dialogo, tra due persone: Gesù, seduto sulla spalletta del pozzo perché stanco, e la donna samaritana, venuta al pozzo, in ora insolita, dalla borgata di Sicar, per attingere acqua. È circa mezzogiorno: l’ora propizia alla rivelazione. Anche la crocifissione avviene in quell’ora. La celebre sequenza medioevale Dies irae così canta: Quaerens me, sedisti lassus: redemisti crucem passus, tantus labor non sit cassus.

La donna che Gesù incontra al pozzo di Sicar è una persona, ma ancor più, una comunità, anch’essa palestinese, quindi di origine ebraica, ma che aveva subìto contaminazione razziali e religiose da quando gli assiri avevano distrutto il regno del nord (722 a.C.), deportando gli abitanti e trapiantando sul posto colonie di pagani.

L’incontro con la donna, simbolo della popolazione samaritana, avviene presso il pozzo di Giacobbe. Entrambi sono di fronte alla sorgente con lo stesso scopo: dissetarsi. Gesù è un missionario che passa da un villaggio all’altro; nessuna meraviglia che si stanchi e abbia sete. Ma l’acqua del pozzo diventa il pretesto di un’ampia discussione storico-teologica, ebraico-cristiana.

L’esposizione della sublime dottrina dell’acqua viva si svolge, quindi, in uno dei più vivaci scenari teologici del Vangelo. Il paesaggio è denso di allusioni bibliche, di controversie religiose, di grandi ricordi che caratterizzano l’affascinante storia d’Israele che attende il Messia (cf Gv 4,1-42). È Gesù che inizia con la samaritana un dialogo articolato in domande e risposte che creano fraintendimenti e contrapposizioni. Violando i costumi sociali del tempo, Gesù le chiede: Dammi da bere (v. 7). Se l’uomo ha sete di Dio, anche Dio ha sete dell’uomo!

A questo punto scoppia l’astio secolare tra giudei e samaritani. La donna, sorpresa dalla presenza del giudeo, con tono ironico, risponde: Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana? (v. 9).  Gesù, con sfida misteriosa, le dice: Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato l’acqua viva (v. 10) La donna, però, non conosce né il dono di Dio né colui che le rivolge la parola; perciò non ha l’esigenza di chiedere l’acqua viva. Gesù offre questo dono spirituale a chi riconosce il dono di Dio e Colui che lo dona. Dono di Dio è la rivelazione di Gesù, l’incontro con lui e il riconoscere chi è Gesù. L’acqua viva è l’effusione dello Spirito di Gesù.

L’ultimo giorno della festa dei tabernacoli, Gesù proclamò solennemente: Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno. Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui (Gv 7,37-39). Nel colloquio notturno con Nicodemo, Gesù lo afferma: Se uno non nasce da acqua e da Spirito non può entrare nel regno di Dio. San Paolo scrive: Noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo… e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito (1Cor 12,13). L’arte primitiva delle catacombe, come simbolo del battesimo, ci offre, oltre al cervo che beve alle acque correnti, anche la scena della samaritana con Gesù.

Intanto, la samaritana è ben lontana dal riconoscere il dono messianico e la persona del Messia. Rimanendo a livello materiale risponde con tono sarcastico: Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi, dunque, quest’acqua viva? (v. 11). Gesù non ha né brocca né corda. La donna pensa che quell’uomo farà scaturire direttamente dalla terra una nuova sorgente. Non comprendendo, infatti, il significato profondo della domanda di Gesù continua: Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame? (v. 12). Il patriarca si era accontentato dell’acqua del pozzo: questo giudeo vuol essere forse superiore a Giacobbe? La samaritana fraintende sia nel considerare l’acqua a livello terrestre, sia nel giudicare Gesù inferiore a Giacobbe. Se la donna risponde con le controdomande rivelandosi incapace di elevarsi a un ordine superiore, Gesù dialoga con lei con affermazioni cariche di mistero: Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna (v. 13-14). Sant’Ignazio esclama: «Ogni mio desiderio terreno è crocifisso e non c’è più in me fiamma alcuna per la materia, ma un’acqua viva mormora in me e mi dice: Vieni al Padre!».

Non si tratta, dunque, di acqua di pozzo terrestre, ma di acqua celeste di vita eterna. L’acqua che Gesù dona si trasforma, per colui che l’accoglie, in sorgente zampillante di vita inestinguibile. La samaritana, pensando a un’acqua miracolosa, nell’ingenua speranza di non essere più costretta a percorrere il chilometro di strada da Sicar al pozzo, gliela chiede: Signore, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua (v. 15). Tre proposte di altissimo livello spirituale, tre risposte di ingenuo e malizioso sarcasmo, dunque, tre tentativi falliti.

Improvvisamente, ai fraintendimenti e all’ironia succede un cambiamento, e Gesù le dice: Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui (v. 16). La donna, con istintiva reazione, risponde: Io non ho marito. Da questa risposta, Gesù mette in luce la situazione coniugale non in regola: Hai detto bene: io non ho marito. Infatti, hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero (v. 16-18). Gesù vuole guidare la donna a riconoscere chi egli è, per questo la tocca sul punto più debole della sua vita personale. La samaritana, sorpresa e imbarazzata, non può fare a meno di riconoscere chi è Gesù, e gli dice: Signore, vedo che tu sei un profeta! (v. 19). È questo il momento cruciale del dialogo e la samaritana cerca di evadere dal discorso personale e, raggirando la domanda, la devia su un altro argomento meno personale, quello discusso da secoli tra giudei e samaritani circa il tempio di Gerusalemme come luogo in cui bisogna adorare Dio. Gesù, trascendendo la questione, sposta il problema dal luogo del culto al modo di adorare Dio. Inoltre, rivela il mistero della sua persona e spiega che la vera adorazione può venire soltanto da chi è generato dallo Spirito di Verità. Il luogo del culto è ormai superato, non conta più, infatti, né il tempio di pietra né quello “ortodosso” di Gerusalemme né quello “scismatico” sul monte Garizim. Gesù stesso, infatti, prenderà il posto del tempio: Egli è il Tempio nel quale Dio è presente, il suo Corpo risuscitato sarà il centro del culto in spirito e verità. D’ora in poi, Dio può essere adorato come Padre soltanto da chi possiede lo Spirito che lo rende figlio nel Figlio di Dio (cf Rm 8,15-16). A questo punto, il colloquio raggiunge il suo vertice. La donna intuisce chi è la persona con cui sta parlando e, cercando ancora di sfuggire, parla del Messia: So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa (v. 25). Gesù, confermando l’intuizione, si rivela e afferma: Sono io, che parlo con te. La samaritana, fin dove può, riconosce chi è colui a cui aveva chiesto da bere.

Arrivano, intanto, i discepoli sorpresi perché il Maestro parlava con una donna. Anche con loro Gesù ha un discorso sul cibo e i fraintendimenti somigliano a quelli dell’acqua. Il Messia svela loro una realtà di altissimo livello spirituale e gli interlocutori recepiscono in forma materiale. Nel frattempo, la samaritana lascia la sua anfora, tanto non le serve più per quel tipo d’acqua di cui parla Gesù, e si precipita nel villaggio per annunziare alla gente: Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?  (v. 29). È questo un interrogativo retorico o un’espressione di fede incompleta? Certo è che l’incontro con Gesù l’ha tanto scossa da lasciare tutto e correre tra la gente di Sicar per annunziare loro il “Messia”. I suoi discorsi sul messia sono ritenuti chiacchiere più che annunzi. Il termine lalian che l’evangelista adopera è intenzionale; denota «loquacità» quasi pettegolezzo; tutt’altro che ministero apostolico!

Le parole della donna suscitano curiosità nei samaritani, tanto da lasciare la città per correre al pozzo per vedere e ascoltare. Molti di essi credono, più per aver visto e ascoltato Gesù, che per quanto aveva detto la donna: Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo (v. 42).

Nell’incontro con la samaritana, Gesù ci offre tre doni: il dono messianico della pienezza dello Spirito, il messaggio messianico sul Padre e sulla vera adorazione e lo stesso Messia, Figlio dilettissimo del Padre. L’uomo del pozzo che promette l’acqua viva all’umanità riarsa dalla sete, lo contempliamo, nell’Apocalisse, posto al centro del trono di Dio, come Agnello glorioso che guida l’umanità, redenta dal suo sangue, ai pascoli eterni e alle sorgenti dell’acqua di vita (cf 7,17). Poi, nel grandioso finale, Giovanni richiama, con i simboli dell’acqua e dell’albero, la vita beata dell’Eden. Il fiume e gli alberi spirituali che Cristo colloca nella nuova creazione simboleggiano la fecondità, l’abbondanza e la perennità con cui la vita divina si effonde e si comunica all’umanità redenta da Cristo. Nel giardino dell’Eden, nella Genesi, tutto è in stato di promessa e di prova, nel giardino dell’Apocalisse della Gerusalemme messianica si realizza pienamente tutto ciò che esisteva in stato di promessa. I simboli del fiume e dell’albero sono trasformati in quel che significano. La sete d’Israele a Refidìm e sete di Gesù a Sichem ci dice del tormento dell’uomo in cerca di Dio. La sete corporale di Gesù richiama la samaritana a scoprire la sete di Dio. Cristo è la rivelazione del mistero di Dio che spegne ogni sete. L’acqua viva è lo Spirito di Gesù nel cuore dei credenti.  L’uomo è realmente “divinizzato”, non secondo il serpente ma secondo Cristo. L’albero della conoscenza del bene e del male è diventato l’albero della vita. Il fiume, limpido come cristallo, è la comunicazione della vita divina all’umanità. La misteriosa sete dell’uomo è ormai soddisfatta dall’eterna pienezza del possesso di Dio.

 

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