Battesimo di croce e di gloria

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La seconda domenica di Quaresima, almeno da quattordici secoli, al tempo di san Leone Magno, è caratterizzata dal vangelo della Trasfigurazione. Il penitente, dopo aver fatto l’esperienza della tentazione e aver visto la vittoria che su di essa ha riportato il suo Redentore, contempla il traguardo: la glorificazione del suo Signore come pegno della sua glorificazione. L’ascesi quaresimale così, acquista la finalità ben precisa: la croce è la via obbligatoria per la risurrezione. La trasfigurazione è vista come anticipazione della gloria del Risorto e ne manifesta la futura condizione gloriosa. Anche il cristiano, configurato a Cristo, sperimenta la propria progressiva trasfigurazione nell’immagine del suo Signore Risorto.

Il profondo significato della Trasfigurazione si può capire soltanto nel contesto in cui gli evangelisti la raccontano. Il brano inizia con un riferimento di tempo, sei giorni dopo (v. 1) che non è solo elemento cronologico ma anche teologico. Il primo collega l’evento trasfigurativo con l’episodio che lo precede: la professione di fede messianica di Pietro, il primo annunzio della passione e le condizioni per essere veri discepoli. Il secondo richiama due eventi dell’Antico Testamento: Esodo 24,16a che narra della “gloria” di Dio che coprì il Sinai per sei giorni; e Genesi 1, 27.31 quando al sesto giorno fu creato l’uomo. Matteo, unendo i due richiami, annunzia che in Gesù si realizza il disegno creatore di Dio che, attraverso l’esperienza trasfigurativa, rivela come la vita superi la morte. I discepoli, però, non comprendono come la vita possa nascere dalla morte e la gloria essere nascosta nella croce. Nella visione di quella trasfigurata bellezza in splendore di Luce, Dio concede ai discepoli di intravedere ciò che il viaggio di Gesù verso la croce nasconde: nella croce-passione è innestata la gloria-risurrezione di Gesù e dei discepoli.

Matteo, dunque, inizia così il suo racconto: Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte (Mt 17,1). L’alto monte, il Tabor secondo l’opinione tradizionale, è il luogo teologico dell’incontro e dell’ascolto con Dio. Qui Gesù fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce (v. 2). Sole e splendore sono i simboli della divinità; il bianco abbagliante e la luce riflettono la gloria divina.

La Trasfigurazione ricorda Es 34,29ss. Il giudaismo, infatti, attendeva, per il tempo finale, la trasformazione dei giusti in splendore ultraterreno e in bellezza raggiante. Paolo già percepiva, in questa intensità di luce, la vita attuale del credente in Cristo (cf Rm 12,2; 2Cor 3,18). Sul Tabor già risplende, nella Persona dello Sposo, quella luce che brilla nel Corpo ecclesiale della Sposa. L’evento taborico è realtà misteriosa che immerge lo sguardo nel regno dei Beati, è simbolo e anticipo, prefigurazione e pregustazione di quella beata condizione in cui lo splendore del volto di Cristo sarà anche quello dei beati. San Paolo, nella lettera ai cristiani di Filippi, afferma che il Signore Gesù trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo Corpo glorioso (Fil 3,21).

Accanto a Gesù trasfigurato, ci sono Mosè ed Elia. Essi avevano percepito l’avvento della Gloria divina impaziente di salvare l’uomo, ora possono lasciare la grotta del Sinai senza velarsi il volto e contemplare quel Corpo trasfigurato indicandolo come Colui al quale intendevano riferirsi nelle loro profezie.

Nella Trasfigurazione spiccano due momenti: la reazione di Pietro e la misteriosa voce del Padre. Pietro, contaminato dalla cristologia trionfalistica, affascinato dall’evento straordinario, trascura la cristologia del Figlio dell’uomo che deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, essere messo a morte e risorgere il terzo giorno (Lc 9,22). Proprio lui, che aveva appena professato la sua fede in Gesù e che subito dopo si era opposto al suo annunzio, ora è incantato e, restando sul monte, desidera rendere eterna l’esperienza di quella visione paradisiaca. È desiderio umano e spontaneo che manifesta incomprensione sul significato di quell’evento, che non è inizio del definitivo, ma anticipo profetico e fugace di esso. La vocazione del discepolo, infatti, è quella di percorrere la strada del provvisorio e della croce.

Battesimo e Trasfigurazione hanno la stessa voce, quella del Padre che nel Battesimo dice: Tu sei il mio Figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto (Lc 3,22) e nella Trasfigurazione, confermando la predilezione verso il Figlio, afferma: Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo! (Mt 17, 5a). Gesù è il Profeta definitivo, l’atteggiamento del discepolo, perciò, non può essere quello di “indagare”, ma quello di “ascoltare”. Il battezzato rinuncia a essere misura della verità e si fa servo della Verità. Solo così la storia della salvezza non sarà soltanto visione beatifica della storia dell’amore divino, ma esperienza sublime della libertà dell’uomo trasfigurato che ascolta e racconta l’amore di Dio incarnato nel cuore e vissuto nella vita.

Cristo trasfigurato irradia lo splendore della gloria del Padre. Questa epifania di bellezza divina suscita stupore e gioia nei tre discepoli. Lo sguardo della Bellezza e la percezione della Voce sono, per propria natura, sguardo ammirato e contemplante d’Amore.

L’antifona ai primi Vespri della Trasfigurazione così canta: «Cristo Gesù, visibilità della Bellezza di Dio, ha fatto trasparire lo splendore della divinità nell’esperienza sensibile dell’umanità». Papa Leone Magno commenta affermando che la Trasfigurazione è l’evento “sacramentale” che maggiormente ci evidenzia la consistenza di una tale affermazione. La grazia epifanica e la contemplazione estetica della bellezza divina che la Trasfigurazione solennizza, sono opera estetica di riferimento teandrico cui rifarsi con sapienza verso la maturazione della spiritualità cristiana.

Pietro, attratto dallo splendore del Trasfigurato, esclama: Signore, è bello (kalòn) che noi siamo qui (Mc 9,5; Mt 17,4; Lc 9,33). Nel racconto della creazione troviamo lo stesso aggettivo che specifica la percezione della realtà che si sta gustando. Cristo trasfigurato si manifesta in forma divina e il divino si rivela attraverso la bellezza dell’umano. La fede allora è esperienza estetica della gloria-bellezza di Dio che si dona all’uomo. Fede e bellezza sono dono di Dio all’uomo. Ed è meraviglioso notare come il Logos creatore, incarnandosi, passò tra gli uomini realizzando amore e operando il bene, cioè il “Buono”. E quest’amore, vissuto sino in fondo, ci ha manifestato la Gloria attraverso il “Bello”. Nella Trasfigurazione l’esperienza estetica si trasforma così, in visione estatica. Il Tremendum si fa percepire attraverso il Fascinosum.

Nella scuola per i pittori sul Monte Athos, gli allievi, dopo avere eseguito le varie istruzioni liturgiche, teologiche e tecniche, alla fine dovevano passare un esame conclusivo dipingendo l’icona della Trasfigurazione. L’allievo doveva mostrare così la sua capacità di saper presentare, con l’arte della luce, il mistero nella visione di splendore anticipata dell’“ottavo giorno” dopo la gloriosa risurrezione dai morti, allo stesso modo con cui lo avevano visto i tre apostoli sul Tabor.

Quest’esperienza della visione-ascolto trasfigurante, che conduce a poter essere assimilati all’oggetto contemplato, esige la capacità di percepire nello stupore la gloria di Dio e di gustare assaporando la libertà ricevuta. Da parte dei credenti, al dono della gloria-bellezza, deve corrispondere l’impegno di comportarsi come figli della luce, rivestiti di Cristo, Luce del mondo (cf 1Ts 5,4-5; Rm 13,12-14; Ef 5,8). La trasformazione in splendore luce è trasfigurazione in bellezza teandrica: il Verbo, immagine-splendore del Padre, si è fatto uno di noi; lo Spirito, immagine-splendore del Verbo, è dato a ciascuno di noi; l’uomo, immagine-somiglianza di Dio, è divinizzato dal Verbo fatto Carne nello Spirito che è Dono.

La visione-ascolto della Trasfigurazione ci libera dalla paura della Croce e dall’indifferenza della Risurrezione. Quel volto trasfigurato dall’amore, nella passione sarà lo stesso volto sfigurato per amore.  Quanti sapranno vedere e ascoltare, accogliere e vivere il Logos, splendore del Padre, saranno trasformati in luce “di gloria in gloria secondo l’azione dello Spirito”. Immersi nelle acque battesimali ed emersi dalle acque a vita nuova, i battezzati, trasfigurati in Cristo, saranno capaci di trasfigurare il mondo in Cristo. Lo splendore dell’alba si raggiunge seguendo l’oscuro sentiero della notte: il tramonto è sempre luce che insegue l’aurora.

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