Müller, Gutiérrez e la teologia “liberata”

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Vederli vicini fa un certo effetto. Padre Gustavo Gutiérrez il domenicano peruviano tra i padri della teologia della liberazione, classe 1928 è piccolino, vivacissimo, irrefrenabile. Al suo fianco il neo cardinale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede Gerhard Müller alto, imponente (lo chiamano il marine della curia), posato e con indosso il poncho che gli ha appena regalato il presidente dei vescovi del Perù. Una foto che fa storia. L’occasione è la presentazione di un libro con saggi dei due teologi, il tema proprio la teologia della liberazione. “Povera per i poveri. La missione della Chiesa” è un libro che potrebbe segnare una svolta epocale. Pubblicato dalla Libreria editrice vaticana ha la prefazione di Papa Francesco. Questi tre nomi nello stesso volume bastano a far venire la voglia di leggerlo. Ma a renderlo ancora più interessante è il racconto della amicizia e collaborazione tra il tedesco e il peruviano. Un incontro tra la teologia della liberazione latinoamericana e la dogmatica delle aule universitarie tedesche, tra la realtà della povertà vissuta e affrontata con la fede e la chiarezza sistematica della Tradizione della Chiesa. Ho chiesto a padre Gustavo se Müller l’avesse aiutato a “ripulire” la teologia della liberazione, lui mi ha corretto: “ mi ha aiutato a metterla a punto”. E così anche il cardinale alla stessa domanda risponde in modo praticamente identico. La teologia della liberazione di Gutiérrez è l’unica a non essere mai stata censurata da Roma. E fu proprio Joseph Ratzinger all’epoca Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, a gestire il dialogo con Padre Gustavo. Un incontro che il cardinale Maradiaga ha detto di aver organizzato personalmente. “ Uscii da qual dialogo, mai un processo, con una lettera per i miei superiori in cui si diceva che era tutto a posto” racconta Gutiérrez.

Del resto ancora oggi sentirlo parlare affascina. Quando spiega cosa significa la Chiesa samaritana, il farsi prossimo, essere prossimo ti rendi conto che sono concetti ormai entrati a far parte di ogni seria predicazione cattolica post conciliare. Il rendere prossimo colui che è lontano, oppure “uscire” verso gli altri sono concetti che Papa Francesco ripete spesso. Eppure Bergoglio non è mai stato un sostenitore della teologia della liberazione. In effetti è molto di più e molto di meno. E’ semplicemente il Vangelo letto con gli occhi dell’ America Latina. Quando a metà degli anni ’80 il teologo tedesco va in Perù incarna la sua teologia, insegna ad amare la Chiesa come sacramento universale di salvezza, ricorda che la comunità degli apostoli è solidale con il genere umano, e mette a fuoco come la missione della Chiesa debba essere liberatrice ed evangelizzatrice. Si sentono gli echi dei documenti delle grandi assemblee del Celam frequentate anche dai pontefici, da Paolo VI a Benedetto XVI, dalla opzione preferenziale per i poveri al discepolato missionario di Bergoglio.

Più scorrono le pagine però più ci si accorge che si parla al passato. La teologia della liberazione sembra aver fatto il suo tempo non per i principi che sostiene, che sono appunto quelli evangelici, ma per il linguaggio e i modi. Mentre il tempo non ha minato il valore del Concilio Vaticano II, la teologia latinoamericana sembra rimasta legata a vicende locali e passate. La povertà è rimasta dominatrice del continente e si sono aggiunte nuove sfide per la fede, dalle sette al consumismo imposto. E così i testi del cardinale che parlano della dittatura del vitello d’oro, sembrano più adatti all’uomo contemporaneo di quelli del domenicano. Gutiérrez ricorda con affetto il teologo Ratzinger, perché il loro è stato un dialogo profondo tra teologi, meno intenso il rapporto con l’allora Papa Giovanni Paolo II, che, dice Padre Gustavo, alla fine dell’udienza gli mise una mano sulla spalla e gli disse “sigue”. Ma ancora il domenicano dice di non aver ben compreso cosa intendeva.

Nel primo viaggio in America Latina nel 1979 Giovanni Paolo II parlando ai giornalisti in aereo spiegava che c’è una teologia della liberazione vera ed una falsa. “Vera è quella che si ispira agli autentici principi cristiani. Falsa quella che si rifà ad idee a sistemi e metodi che non sono cristiani. Le speranze che il viaggio potrà destare nell’America Latina sono soprattutto le speranze della fede, le quali non sono poca cosa, poiché spesso vanno molto al di là delle previsioni e dei calcoli umani. Le manifestazioni popolari possono talvolta ostacolare la percezione della realtà, ma accanto a me ci saranno centinaia di vescovi latinoamericani che conoscono l’autentica realtà del continente e ne sono il portavoce. Ed anche io ho qualche idea in proposito. È compito del papa affrontare i problemi fondamentali, dare gli orientamenti basilari, mentre compete all’ufficio pastorale dei singoli vescovi applicare le direttive alle situazioni particolari, ai problemi locali e pratici di ogni giorno. La Conferenza di Puebla è importante, costituisce un passo avanti. Il metodo delle riunioni a livello continentale è risultato positivo. Era, è, e sarà molto utile.”

Quando va in Perù nel 1985 il Papa dice ai giornalisti che non è previsto un incontro con Padre Gutiérrez e aggiunge “Si deve fare la teologia della liberazione, ma si deve preservare questa teologia dalle deviazioni dottrinali.” Ecco, con questo libro sembra che la chiarificazione sia evidente per tutti. Anche grazie, possiamo dirlo, a padre Gutiérrez, a Gerhard Müller e ovviamente Joseph Ratzinger.

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