La Quaresima della Chiesa

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Lunedi 3 febbraio ho avuto  l’onore di presentare il libro “La Quaresima della Chiesa” (Tau Editrice) di Andrea Gagliarducci e Marco Mancini. Entrambi fanno parte della squadra di Korazym.org.  Ecco alcuni punti  del mio testo di  presentazione. 

Quando pensiamo alla Quaresima i laici immaginano una cosa lunga e triste, i cattolici vedono un tempo forte della liturgia che prepara alla luce della Pasqua. E in effetti quei poco più di quaranta giorni che lo scorso anno abbiamo vissuto tra l’ 11 febbraio, e il 13 marzo e poi fino a Pasqua, sono stati davvero una Quaresima. E in entrambi i sensi.

Perché sono stati giorni lunghi, di ansia e di stupore, di attesa di incredulità. E in questo senso giorni di penitenza. Per la prima volta nella storia moderna, un pontefice decideva di rinunciare al governo della Chiesa Universale. Si certo, tutti gli addetti ai lavori sapevano che fin dai tempi di Paolo VI si parlava di come permettere al Papa di essere davvero libero da qualunque condizionamento, di poter esercitare il ministero petrino in pienezza e completezza e quindi di poter  “lasciare” qualora non potesse essere in piena coscienza libero. Ma nessuno lo aveva mai fatto. Nemmeno il “ciclone  Wojtyla” era giunto a tanto. Anche se nella Universi dominici gregis aveva inserito la possibilità concreta, canonica della rinuncia.

Poi è arrivato Joseph Ratzinger. Eletto per mettere a posto le questioni rimaste aperte nell’ultima parte del pontificato di Giovanni Paolo II. Il tedesco, pilastro teologico del pontificato del polacco, il custode dell’ortodossia, l’uomo considerato il “conservatore” per eccellenza, stupisce il mondo e cambia il modo di esercitare il ministero petrino. Non è solo un “essere moderno” è molto di più. Si apre una porta che si pensava non esistesse nemmeno. E i mesi trascorsi ci hanno dimostrato una importantissima novità. Papa Francesco che gli ha succeduto sul soglio di Pietro non solo non lo ha dimenticato, ma è evidente sempre più, e senza nessuna segretezza,  che “approfitta” di quello che lui ha chiamato “un nonno saggio”.  Ha firmato la sua prima enciclica Lumen fidei che è in pratica tutta di Benedetto XVI, telefona e fa visita al Papa emerito anche più spesso di quanto ufficialmente sappiamo, e non è escluso che lo vorrà al suo fianco nella canonizzazione di Giovanni Paolo II e Giovanni XXII. Un nuovo modo “collegiale” di esercitare il ministero petrino ? Forse no, per ora. Ma certo un modo per far capire al mondo che anche il Vescovo di Roma può, come tutti i vescovi emeriti, avere un ruolo importante per la sua diocesi.

Quaresima di tristezza per giorni e giorni, dall’11 al 28 febbraio. E di commozione. Quella sottile e liturgica della celebrazione del mercoledì delle ceneri in San Pietro con il lungo applauso interrotto proprio dal Papa con l’umilissimo e forte :“ora torniamo alla liturgia”. Quaresima di nostalgia con le udienza di Benedetto XVI in Piazza San Pietro, affollate e assolate. Quaresima di abbandono davanti a quel portone del Palazzo Pontificio di Castelgandolo che si chiudeva sulla storia, sul pontificato e sulla giornata del 28 febbraio, ma apriva la prospettiva di nuove strade da seguire.

Quaresima di vuoto per molti fedeli che si sentivano quasi traditi, traumatizzati da una scelta inusitata, ma a ben vedere nemmeno tanto inattesa.

Scende il silenzio mediatico sul pontificato più “maltrattato” dalla stampa dell’era contemporanea (tanto che c’è chi ancora infierisce con becera e inutile ignoranza) e si spalanca il baratro della “caccia al nuovo”. Un’altra icona mediatica. Tutto dovrà cambiare. Ma come? Inizia la nevrosi della riforma. E mentre si monta il circo mediatico fatto per lo più di persone che ignorano quasi del tutto quello che succede, monta la solita marea di chi vuole “manovrare” il conclave ben prima che si celebri. Da fuori con gesti più o meno opportuni di certa stampa, e da dentro, dove le correnti si intrecciano con il mal contento di chi si è quasi sentito tradito dalla scelta di Ratzinger.

Una miscela esplosiva che potrebbe portare il treno della Chiesa a deragliare.

Ma la Quaresima è tempo di grazia, e così i 13 giorni della Sede Vacante, concitati e famelici, fatti di notizie e previsioni e di congregazioni generali per i cardinali che saranno dentro e fuori la Sistina, diventano un modo per mettere a fuoco alcuni punti fermi.

Il prossimo Papa dovrà proseguire l’opera di riforma che Benedetto aveva solo potuto iniziare dopo aver chiuso le vecchie pratiche. Dovrà procedere in quella collegialità che Ratzinger aveva reso perfetta nel lavoro della Congregazione della Dottrina della Fede, ma non era riuscito a imporre nel lavoro del Sinodo dei Vescovi, e dovrà avere quella attenzione alla gente comune che si sta secolarizzando, al gregge che vive un analfabetismo catechetico come ha raccontato l’ultima assemblea sinodale. Insomma un santo sacerdote, comunicativo, fermo nella dottrina, e, cosa unica nella storia, capace di vivere all’ombra di un Papa emerito che è forse il maggior teologo contemporaneo.

I cardinali cercano di capire, in congregazione generale vogliono relazioni su tutto. Hanno letto i giornali nelle loro nazioni, lontani da Roma. Sanno degli scandali costruiti a tavolino per mettere in difficoltà la Chiesa. O meglio la Santa Sede. Perché è quello lo scopo: ridurre il Vaticano ad una enclave italiana e far perdere quella sovranità che è stato il capolavoro diplomatico di Pio XI.

Ecco forse servirebbe proprio un Papa come lui per ripensare la Santa Sede che ha cambiato i confini. Non più sull’ Italia ma sull’ Europa.

Ma evidentemente i cardinali non sono dell’idea. In molti non si conoscono tra loro. Altri invece hanno un progetto chiaro. Gli americani del nord, del centro e del sud vogliono uno dei loro. Si tratta di capire chi. Cosa sia successo nella Cappella del Palazzo Apostolico che tutti conoscono come Sistina dopo l’extra omnes resta un segreto. Il mondo rimane sulla soglia in attesa. Le ultime parole sono quelle del cardinale Sodano che celebra la messa Pro Eligendo Pontifice e poi resta fuori del conclave perché ha 86 anni. Nel suo testo, ben diverso da quello del cardinale Ratzinger del 2005, la parola “misercordia” appare 29 volte. Una indicazione? Nello stemma di quello cha dal conclave uscirà Pontefice c’è proprio la parola “misericordia”. Forse la preferita da Jorge Mario Bergoglio, gesuita, argentino, arrivato secondo al conclave del 2005.

La Quaresima sta volgendo al termine. Tempo forte come forte è l’impatto positivo di Francesco sulla gente che nella piazza lo applaude perché saluta con un “buonasera”, perché prega per Benedetto e chiede alla gente la preghiera per lui stesso. E si mette a pregare con la gente della piazza.

Inizia la costruzione mediatica della fama di Papa Francesco. L’arcivescovo delle “villas miserias” diventa un fenomeno mediatico. Si sottolinea la sua umiltà perché non mette i pantaloni bianchi sotto la talare e le scarpe rosse, perché vive a Santa Marta e sceglie una macchina senza targa SCV1, perché tiene la sua croce d’argento e non indossa la mozzetta.  In pochi si occupano di capire chi è davvero il nuovo Papa. Un gesuita tutto d’un pezzo, che ama, lo ha detto più volte, la Chiesa Santa, Madre e Gerarchica. Un sacerdote zelante e pio che lascia nella giornata ampio spazio per la preghiera, compresa quell’ora a settimana per la adorazione eucaristica.

Il rischio è quello di perdere la prospettiva reale pur aumentando il successo mediatico del nuovo Papa.

Eppure in quel primo incontro, davvero storico, tra i due pontefici a Castelgandolfo il 23 marzo, in quell’abbraccio, nei gesti di Benedetto che è “ospite” e non più padrone di casa, si capisce che c’è molta più continuità che rottura tra i due uomini pure così diversi.

Ormai è Pasqua. La Quaresima ha portato i sui frutti. Sul soglio di Pietro c’è un nuovo Papa. La gente lo ama per la sua informalità, i media lo amano perchè immaginano rivoluzioni in arrivo. Gli esperti sanno che è un decisionista, che sa essere dolce ma anche duro. Lui stesso decide di raccontarsi durante la sua prima estate romana, ai confratelli gesuiti in una lunga intervista alle riviste della Compagnia.

E’ il momento di iniziare il lavoro per cui è stato scelto. Riforme in primo luogo. Della Curia o anche più forse della Chiesa. O meglio, come scrive lui stesso nel primo documento tutto suo la Evangelii gaudium, conversione. Ecco convertirsi, tornare al Vangelo, alla sana dottrina, che è la stessa di sempre.

Lo fa, come è giusto che sia, con il suo stile latinoamericano che entusiasma le folle e fa riflettere ogni singola persona. E chi si aspetta “un’altra” Chiesa, rimane deluso. Perché la Chiesa non cambia a seconda di un Papa. Perché la Chiesa non è del Papa, non è una azienda da dirigere con efficientismo. La Chiesa è sua, di Dio. E per chi non ci crede non c’è altro che rendersene conto.

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