La Chiesa non si fonda su principi umani

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L’anno che sta per concludersi non potrà fare a meno di ricordarci lo storico evento che ha segnato la vita della Chiesa. Il 28 febbraio del 2013 Benedetto XVI rinunciava al ministero petrino, per un venir meno delle forze e per l’età avanzata, perché – lo dichiarava il Pontefice stesso – “nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo”, e il 13 marzo dello stesso anno Papa Francesco saltava sulla barca di Pietro per riprendere il cammino della Chiesa. Due “papi” – uno regnante e l’altro emerito – per nulla adombrati da remore o gelosie reciproche, ma entrambi impegnati a vivere fino in fondo il proprio servizio ecclesiale, e soprattutto protagonisti di una svolta epocale per la vita ecclesiale. “Svolta” che – è doveroso precisarlo – si muove ordinariamente da un pontificato all’altro, per ravvivare il presente e confermare il passato.

Le “dimissioni” di Benedetto XVI – secondo il Prefetto della Congregazione per i Vescovi, Marc Ouellet, intervistato da Radio Vaticana – sono da ritenersi “la più grande novità nella storia della Chiesa, che ha testimoniato una grande umiltà e, allo stesso tempo, una grande fiducia nello Spirito Santo per il futuro delle cose. Bisogna essere molto riconoscenti a Papa Benedetto XVI per aver aperto questo orizzonte e per aver reso possibile questa novità di Papa Francesco”. Ouellet – uno dei nomi che alla vigilia del conclave circolava fra i papabili – considera la novità di questo preciso momento storico come un segno dei tempi molto importante per la vita della Chiesa.

Di Papa Francesco, mons. Ouellet, sottolinea la capacità “di stabilire un contatto nuovo, più vicino al Popolo di Dio”, un contatto immediato che “fornisce anche a tutti i vescovi un modello di prossimità pastorale, di ricerca di una presenza pastorale che sia calorosa, che sia misericordiosa, che porti consolazione e che doni una nuova speranza”. “Il Santo Padre – prosegue il Porporato – vuole la riforma di una certa mentalità clericale con ambizioni ecclesiastiche o ambizioni mondane. Combatte questo carrierismo! Io credo che questo faccia molto bene alla Chiesa, a tutti i livelli, cominciando dalla Curia Romana. Siamo veramente in un momento grazia e spero che lo Spirito Santo gli dia la salute e la collaborazione di cui ha bisogno per portare avanti la riforma della Chiesa e la nuova evangelizzazione”.

L’arco di tempo che intercorre tra un pontificato e l’altro – da Giovanni XXIII a Paolo VI, o da Benedetto XVI a Francesco, solo per trarre un esempio dalla storia millenaria della Chiesa e dei suoi 267 pontefici – non deve farci commettere l’errore di considerare la Chiesa fondata esclusivamente su principi umani o sulle doti personali dei singoli papi. Rischieremmo, in tal senso, – come affermava il grande teologo francese Henri De Lubac – di attribuire alla Chiesa delle finalità umane, spiegata con delle “analogie umane troppo poco vagliate, invece di contemplarla quale Dio l’ha fatta, nel mistero del suo essere soprannaturale”. Del resto, – continua l’illustre teologo anticipatore dei temi del Concilio Vaticano II – quando recitiamo il «Credo», il simbolo della nostra fede, “dicendo: «credo la santa Chiesa cattolica» noi non proclamiamo la nostra fede «nella Chiesa», ma «alla Chiesa», e cioè alla sua esistenza, alla sua realtà soprannaturale, alla sua unità, alle sue prerogative essenziali… noi professiamo ora che la Chiesa è formata dallo Spirito Santo , che essa è la «sua opera propria», lo strumento col quale ci santifica”.

Non è un particolare irrilevante, né una semplice e preziosa sfumatura teologica!

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