Natale tra i detenuti di Opera

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Martedì 24 dicembre il card. Angelo Scola ha celebrato la Messa di Natale nel carcere di Opera, a cui hanno partecipato 300  detenuti. Per i reclusi la visita dell’Arcivescovo di Milano è stato un gesto importante, come ha affermato don Francesco Palumbo, cappellano dell’istituto di pena:

“Hanno avuto la possibilità di ascoltare la sua voce, le sue parole di speranza che aprono prospettive, che aiutano a guardare alla vita con un futuro, perché la Buona Notizia nel cuore opera, agisce e trasforma. Per loro è stato importante essere visitati, incontrati, sentire che c’è attenzione nei loro confronti, cura, perché spesso si sentono come in cantina. E’ un aspetto decisivo quello di essere riconosciuti e poter esprimere le loro attese, le loro difficoltà”.

Nell’omelia il card. Scola ha sottolineato: “Nel terzo millennio, più che rinnovare le carceri, è ora di trovare nuovi metodi per l’espiazione della pena. Non intendo dire che devono essere chiusi gli istituti di pena, ma che a partire dalle tante esperienze buone che vedo nelle carceri è possibile introdurre qualcosa di nuovo nel percorso di ripresa cui è chiamato ogni detenuto in quanto uomo”.

L’Arcivescovo si è rivolto direttamente ai detenuti invitandoli in qualche modo a non trovare scuse, a non rassegnarsi: “Mi hanno testimoniato che il tempo di espiazione della pena diventa spesso tempo di ripresa… I carcerati mi hanno spesso dato testimonianza della coscienza acuta di una necessità di questo lavoro di ripresa. Un processo che può travolgere i limiti delle carceri che ben conosciamo”. Le parole del cardinale Scola hanno ripreso gli appelli rivoltigli prima della Messa, affinchè “il carcere non deve essere un luogo di pena, ma un luogo di uomini”.

Al termine della celebrazione è avvenuta anche la benedizione della vetrata della cappella donata dai volontari della Sesta Opera San Fedele alcuni anni fa… A Natale c’è stata anche una marcia per chiedere l’amnistia ai carcerati, a cui hanno aderito centinaia di persone.

Mentre la Comunità Papa Giovanni XXIII, sempre al fianco dei carcerati, ha partecipato, come ogni anno, alla marcia per ‘l’amnistia, la giustizia, la libertà’, fino al penitenziario ‘Regina Coeli’. Una volontaria dell’associazione ha raccontato la sua esperienza:

“Ho partecipato anche io, dietro lo striscione contro l’ergastolo della Comunità Papa Giovanni XXIII, perché se l’affollamento delle nostre carceri è una ‘prepotente urgenza’, e ben venga il decreto del governo, oggi il rischio è che questo lasci in ombra altri, altrettanto gravi, momenti critici della pena e della sua esecuzione. Mi riferisco non solo all’ergastolo ma anche a quel meccanismo di norme che produce l’ostatività, che è l’esclusione dall’applicazione dei benefici di legge per chi, accusato di reati associati a mafia e quant’altro, non sia stato collaboratore di giustizia.

Insomma l’art. 4/bis, che applicato a chi sia condannato all’ergastolo si traduce in un fine pena mai effettivo. Condizione in cui si trova più di un terzo degli ergastolani italiani. Con buona pace di chi continua a dire che l’ergastolo in Italia non lo sconta nessuno. Mi è capitato, in questi mesi, di parlare con conoscenti e amici di questi miei incontri. Ebbene ‘azzardando’ dubbi sul diritto di cittadinanza di pene senza fine in uno Stato che voglia dirsi democratico e civile, la reazione media è sempre una sorta di irrigidimento: ‘ma sono persone che hanno commesso gravi reati!’. Forse, certo.

Ma (ingenuamente?) mi ha davvero inquietata, e spaventata, il fatto che la stragrande maggioranza dei miei interlocutori, anche quelli che sono convinti ‘democratici’ (ma che significherà mai a questo punto?), possano davvero pensare che quel che accade di queste persone sia giusto. E parlo s’intende di persone che il debito con la giustizia lo stanno scontando fino in fondo, con decenni di carcere. Ogni volta ripeto e mi ripeto le parole di Aldo Moro che era fermamente contrario all’ergastolo e che tutti dovrebbe farci riflettere:

‘Ricordatevi che la pena non è la passionale e smodata vendetta dei privati: è la risposta calibrata dell’ordinamento giuridico e, quindi, ha tutta la misura propria degli interventi del potere sociale che non possono abbandonarsi ad istinti di reazione e di vendetta, ma devono essere pacatamente commisurati alla necessità, rigorosamente alla necessità, di dare al reato una risposta quale si esprime in una pena giusta’”.

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