Papa Francesco alla Curia di Roma: niente chiacchiere ma santità e servizio

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Chiede preghiere per il nuovo segretario di stato, dice che la santità in curia è non chiacchierare, e ripte che il modello del “veccho curiale” è il migliore e ringrazia chi ha lasciato il servizio ed è andato in pensione.

Papa Francesco saluta la Curia romana con un discorso da parroco e qualche pennellata che lascia immaginare la sua idea di Curia: un luogo di lavoro silenzioso e discreto, di servizio e di santità, ma anche di grande professionalità e preparazione. Il “vecchio curiale” quindi non pecca di protagonismo, ma è anche perfettamente in grado di svolgere il servizio alla Chiesa. Del resto sembra che ai segretari personali Xuereb e Pedacchio abbia detto: “il segretario perfetto è quello che non si vede”. Appare strana in questa ottica del Papa la scelta di avvalersi sempre più di società esterne, molto in vista, per risolvere i problemi della Chiesa Romana.

Papa Francesco decide di non ripercorre l’anno straordinario che ha vissuto la Chiesa cattolica. Lo avevano fatto tutti i Pontefici contemporanei nello spirito del Concilio. Ma Francesco il Concilio lo ha vissuto a distanza e sembra che il suo stile sia più rivolto a dare consigli ed indicazioni di metodo all’interno della Chiesa piuttosto che spiegare al mondo che cosa la Chiesa cattolica significa per l’umanità e come agisce in relazione con l’ esterno. E spiega come deve essere a sua parere il lavoro quotidiano nella Curia di Roma.

“ Io ammiro tanto – dice il Papa -questi Monsignori che seguono il modello dei vecchi curiali, persone esemplari…Ma anche oggi ne abbiamo! Persone che lavorano con competenza, con precisione, abnegazione, portando avanti con cura il loro dovere quotidiano. Vorrei qui nominare qualcuno di questi nostri fratelli, per esprimere loro la mia ammirazione e la mia riconoscenza, ma sappiamo che in una lista i primi che si notano sono quelli che mancano, e, facendolo, corro il rischio di dimenticare qualcuno e di commettere così un’ingiustizia e una mancanza di carità. Però voglio dire a questi fratelli che costituiscono una testimonianza molto importante nel cammino della Chiesa.
Da questo modello e da questa testimonianza ricavo le caratteristiche dell’officiale di Curia, e tanto più del Superiore, che vorrei sottolineare: la professionalità e il servizio.
La professionalità, che significa competenza, studio, aggiornamento… Questo è un requisito fondamentale per lavorare nella Curia. Naturalmente la professionalità si forma, e in parte anche si acquisisce; ma penso che, proprio perché si formi, e perché venga acquisita, bisogna che ci sia dall’inizio una buona base.”

 

Parla del servizio alla Chiesa e al Papa: “Nella Curia Romana si apprende, “si respira” in modo speciale proprio questa duplice dimensione della Chiesa, questa compenetrazione tra universale e particolare; e penso che sia una delle esperienze più belle di chi vive e lavora a Roma: “sentire” la Chiesa in questo modo. Quando non c’è professionalità, lentamente si scivola verso l’area della mediocrità. Le pratiche diventano rapporti di “cliché” e comunicazioni senza lievito di vita, incapaci di generare orizzonti di grandezza. D’altra parte, quando l’atteggiamento non è di servizio alle Chiese particolari e ai loro Vescovi, allora cresce la struttura della Curia come una pesante dogana burocratica, ispettrice e inquisitrice, che non permette l’azione dello Spirito Santo e la crescita del popolo di Dio.”

 

E poi la santità, di vita che “significa vita immersa nello Spirito, apertura del cuore a Dio, preghiera costante, umiltà profonda, carità fraterna nei rapporti con i colleghi. Significa anche apostolato, servizio pastorale discreto, fedele, portato avanti con zelo a contatto diretto con il Popolo di Dio. Questo è indispensabile per un sacerdote.
Santità nella Curia significa anche obiezione di coscienza alle chiacchiere! Noi giustamente insistiamo molto sul valore dell’obiezione di coscienza, ma forse dobbiamo esercitarla anche per difenderci da una legge non scritta dei nostri ambienti che purtroppo è quella delle chiacchiere. Allora facciamo tutti obiezione di coscienza; e badate che non voglio fare solo un discorso morale! Le chiacchiere danneggiano la qualità delle persone, del lavoro e dell’ambiente.”

E come esempio di vita propone lo sposo di Maria, Giuseppe: “così silenzioso e così necessario accanto alla Madonna. Pensiamo a lui, alla sua premura per la sua Sposa e per il Bambino. Questo ci dice tanto sul nostro servizio alla Chiesa! Allora viviamo questo Natale spiritualmente vicini a san Giuseppe.”

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