La “Mission” di Rai Uno, tra polemiche e consensi

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Si tratta di un’operazione di sensibilizzazione o di un reality? E’ un quesito che non riesce a raccogliere consensi unanimi circa il format televisivo, “Mission”, lanciato da Rai Uno in queste ultime settimane. L’idea era quella di offrire al pubblico l’opportunità di conoscere un po’ più da vicino alcune situazioni di particolare indigenza presenti nel mondo. Realizzato in collaborazione con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ed Intersos, il programma Mission è infatti ambientato nei campi profughi del Medio Oriente, Africa e America Latina, ed è supportato dalla partecipazione di alcuni personaggi dello spettacolo, ma a quanto pare (preso atto di alcune polemiche) sembra stia diventando una vera “mission impossible” portare avanti il programma.

Già dalla prima puntata, però, molte associazioni hanno mosso alcune proteste parlando di strumentalizzazioni e spettacolarizzazioni inappropriate. Anche la Federazione Stampa Missionaria Italiana (Fesmi), che raduna una quarantina di testate per un totale di 500mila copie mensili, è intervenuta su questa vicenda. Il programma Mission – si legge nel comunicato – “ha aiutato a far conoscere meglio al grande pubblico la realtà drammatica dei rifugiati. Le testimonianze, le storie di dolore, di violenze subite e raccontate ai noti personaggi televisivi hanno toccato certamente la sensibilità dei telespettatori, i quali hanno potuto verificare le terribili condizioni di vita di centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini costretti a fuggire dal loro paese d’origine”. La Fesmi ritiene, inoltre, sincera la testimonianza dei promotori umanitari dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur) e di Intersos “che si prodigano giornalmente, in condizioni spesso difficili, per alleviare le sofferenze dei profughi e provvedere una accoglienza almeno decente”.

Era però necessario – secondo l’analisi della Fesmi – porre in rilievo (nel corso del programma) i reali interessi economici, politici e geostrategici che ruotano attorno alla realtà dei rifugiati e che sono da considerare la causa principale dei conflitti che costringono milioni di profughi ad un esodo di massa. “L’assenza di un’analisi di questo tipo – prosegue il comunicato – non ha affatto aiutato i telespettatori a capire come le guerre nei vari paesi toccati dal reality show facciano guadagnare i commercianti di armi, chi le produce, le banche che si prestano nelle transazioni della compravendita di armi e i paesi interessati a tener vivo questo business”. Venuta meno questa importante informazione, il format di Rai Uno ha generato nei telespettatori una maggiore sensibilità e attenzione verso l’altro, ma – dichiara la Federazione Stampa Missionaria Italiana – “ha ridotto l’impegno a un buonismo sterile che serve solo a superare il nostro senso di colpa. Non è stato capace, invece, di invitare i telespettatori a un impegno di pace, a individuare le cause e le complicità che protraggono questi conflitti”. Conclude il comunicato: “Un servizio pubblico, com’è quello della Rai, non può quindi limitarsi a una sensibilizzazione generica della drammatica realtà dei profughi. Deve, innanzitutto, offrire un’informazione critica che porti a un impegno politico e a prese di posizione concrete, in grado di contribuire a risolvere alla radice le cause della guerra”.

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