Se il santo è un Papa raccontato dal suo segretario

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C’è passione e nostalgia nelle pagine di questo ennesimo diario intimo del cardinale di Cracovia Stanislao Dziwisz. “Ho vissuto con un santo” è il libro che ci accompagna alla canonizzazione di Giovanni Paolo II tenuti per mano dal segretario personale di Karol Wojtyla e dal suo biografo più affezionato, Gianfranco Svidercoschi.

Dopo “La mia vita con Karol”, ecco la seconda parte di quelle memorie di vita e di santità che lasciano trasparire una profonda sensazione di misticità, ma anche di assoluta normalità di un uomo, un sacerdote, un vescovo e un Papa che tra pochi mesi sarà definitivamente chiamato santo da tutta la Chiesa.

Svidercoschi dialoga con Dziwisz e integra quei passaggi storici che l’emozione nega al racconto personale del segretario di Woityla.

Si riparte dal quella scena quasi da film, da quel libro del Vangelo con le pagine sfogliate dal vento sulla bara di legno in Piazza San Pietro, da quelle immagini di strazio e di forza di Giovanni Paolo II che non riesce nemmeno a pronunciare la benedizione di Pasqua. E si torna indietro. Alla Polonia devastata dalla II Guerra Mondiale prima e dal comunismo dopo, alla Chiesa che vive la speranza del Concilio anche oltre cortina. Il cronista che il Concilio lo ha raccontato accompagna il segretario del vescovo che il Concilio lo ha fatto. E si scoprono pagine di una storia rimasta per decenni custodita nella memoria di quello che è oggi il cardinale di Cracovia.

Cracovia, città cuore della identità polacca il cui volto mille volte è stato segnato da invasori come la immagine della Madonna Nera di Częstochowa. Cracovia dove Karol Wojtyla diventato vescovo, affronta il comunismo con la forza della fede, con l’entusiasmo dei giovani, con la profezia del Sinodo diocesano e quel metodo tanto attuale: vedere, giudicare, agire.

E poi Roma, la città dove il giovane Wojtyla ha studiato, e il Vaticano che lo vede nel 1976 predicare gli esercizi spirituali a Paolo VI nel ritiro di Quaresima.

Il cardinale di Cracovia viene spesso a Roma e in Vaticano, ma su di lui non si sono ancora accesi i riflettori della storia. La sua è una santità nascosta, che traspare nelle piccole cose.

Roma, la città di cui diventa vescovo inaspettatamente poco più di un mese dopo dal suo predecessore di cui sceglie di prendere il nome.

A Roma il giovane Papa polacco porta la sua Polonia, la fede e la forza per combattere e difendere l’uomo.

Inizia la fase della vita di Karol Wojtyla che tutti immaginiamo di conoscere bene e che invece, grazie al racconto del suo segretario, si aprono nuovi spiragli sulla realtà che per anni è stata solo immaginata. La riforma generale della Curia, solo iniziata, alla luce del Vaticano II, e quella Ostpolitik tutta nuova fatta di viaggi, di parole pronunciate con forza, di presenza. A cominciare da quel primo viaggio in Polonia nel 1979 che il regime osteggiò in ogni modo.

L’attentato, ancora avvolto nel mistero, e i passi lenti e decisi per la purificazione non solo della memoria, ma del cuore stesso della Chiesa.

A cominciare dalla disastrosa piaga della pedofilia nel clero che alla fine del pontificato emerge e trova nel cardinale Ratzinger, l’ “amico fidato”, il vero e forte alleato per combatterla.

I ricordi sono belli e brutti, drammatici e pieni di gioia e il cardinale Dziwisz non ha paura di parlare delle possibili dimissioni, e di chiedere scusa a Benedetto XVI per quell’intervento, dice, “manipolato” che sembrava criticare la scelta di Ratzinger.

E poi i miracoli. Quelli di cui si parlava quando Giovanni Paolo II era ancora in vita, le testimonianze, l’affetto, la riconoscenza della gente che si mette in fila per lasciare un biglietto con un semplice grazie sulla sua tomba.

E la luminosa giornata della beatificazione, il giorno in cui Benedetto XVI dichiara l’uomo che stima di più al mondo e che ancora chiama semplicemente “il Papa”, diventa un modello per tutti. Per la prima volta un Papa dichiara beato il suo immediato successore.

Una eredità legata al Concilio che ancora indica la strada da seguire. Lo ha fatto Benedetto XVI, e ora lo farà Francesco, il primo Papa del post Concilio che non era al Concilio.

E alla fine ecco un dono in più: le parole dei bambini, quelli che non hanno vissuto la parabola storica di Giovanni Paolo II, e quelli che lui stesso ha incontrato in giro per il mondo.

In Karol Wojtyla, spiega chi gli è stato vicino fino alla fine, non c’è separazione tra l’uomo di preghiera e l’uomo di azione. Ecco la sua grande eredità: “una fede da vivere in maniera trasparente e coerente nella quotidianità, nella storia di tutti i giorni; ma capace anche di trasformare la realtà umana e sociale.”

 

Stanislao Dziwisz, “ Ho vissuto con un santo” Conversazione con Gianfranco Svidercoschi- Rizzoli

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