In simplicitate cordis

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Certi linguaggi popolari confondono la semplicità evangelica con la semplicioneria degli sciocchi. Semplicità cristiana non è puro atteggiamento psicologico ma luce in splendore di verità, purezza di cuore e di sguardo, umiltà di spirito. La semplicità è una delle qualità dello stesso Gesù il quale “svuotò se stesso” e, rinunciando alle prerogative divine, s’incarnò per diventare carne della nostra umana natura (cf Fil 2, 5-11). Come Gesù, anche il cristiano, vivendo la sua vita di fede in simplicitate cordis, è pienamente configurato al suo Signore e Maestro.

Nel discorso della montagna, Gesù, al riguardo, dà alcune preziose indicazioni. Innanzitutto, istruisce che occorre avere l’occhio semplice che è riflesso e luminosità del cuore: La lucerna del corpo è l’occhio, se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il corpo sarà nella luce (Mt 6,22). Il Maestro esorta ancora a essere semplici come le colombe e furbi come i serpenti (Mt 10,16). Una semplicità, quindi, che è candore interiore, purezza di cuore, vivacità di spirito e incapacità di pensare e operare il male. In effetti, la furbizia, armonizzata con la semplicità, è prudenza e preveggenza. La sola furbizia senza semplicità è sottoprodotto dell’intelligenza, la usano soltanto il losco, il falso, il tenebroso, il contorto. La semplicità che vuole Gesù si oppone a complicazione, a doppiezza, a violenza, ad avidità di avere e di potere, al successo senza scrupoli, a manipolazioni disoneste.

E’ illuminante la parabola, più che del fattore “infedele”, come spesso è qualificato, del fattore “furbo”, un impiegato di alto livello che, non amministrando bene, perde la fiducia del suo ricco padrone (cf Lc 16, 1-13). A Gesù non interessa l’infedeltà del fattore, evidentemente riprovevole, ma la risolutezza con cui mette al sicuro il proprio futuro. Gesù desidera che i figli della luce usassero la stessa furbizia pronta, decisa e radicale per operare il bene. Luca mette in evidenza il fatto che la ricchezza disonesta non è soltanto quella accumulata coi furti e gl’inganni, ma la ricchezza in se stessa. Per Gesù “farsi degli amici” che poi ci accoglieranno nelle “dimore eterne”, significa aiutare il mendicante, cioè “colui che non è accolto”. Il tesoro dell’accoglienza è comunione d’amore che resiste a ogni tempo. Il denaro e la ricchezza, abitualmente, dividono e isolano. L’amministratore “furbo” li userà per farsi aprire le porte accoglienti. Tutto si capovolge con lo stile dell’accoglienza. In questa terra, i beni devono servire per costruire la comunione fraterna (Atti 2, 42-45), solo così saranno vincoli d’amicizia che apriranno le dimore eterne del regno futuro.  Qui in terra, gli amici di Dio, che devono diventare nostri amici, sono i poveri. Il cristiano, nella semplicità di cuore e con l’evangelica furbizia dell’intelligenza, deve essere risoluto nello spendersi per gli altri. Con la morte, la ricchezza scompare; nell’eternità sopravviverà soltanto l’amore.

San Paolo, scrivendo ai romani di allora, li esorta a essere semplici “di fronte al male”, cioè a vivere nella semplicità sia quando si riceve il male, che mai dev’essere ricambiato a nessuna condizione, sia nel non operare il male, presentandosi al mondo nella totale innocenza e trasparenza: Vi raccomando, fratelli, di guardarvi da coloro che provocano divisioni e ostacoli contro l’insegnamento che avete appreso: tenetevi lontani da loro. Costoro, infatti, non servono Cristo nostro Signore, ma il proprio ventre e, con belle parole e discorsi affascinanti, ingannano il cuore dei semplici. La fama della vostra obbedienza è giunta a tutti: mentre dunque mi rallegro di voi, voglio che siate saggi nel bene e immuni dal male (Rm 16,17-19).

Anche nella lettera ai Filippesi, l’apostolo insegna che la semplicità è la qualità propria dei figli di Dio che vivono in rapporto d’amore col Padre: Siate irreprensibili e semplici, figli di Dio immacolati in mezzo a una generazione perversa e degenere, nella quale dovete risplendere come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita (Fil 2,15).

Nella semplicità, la comunità si armonizza per vivere la comunione e realizzare l’unità nella verità. La Chiesa, uscita dal vortice d’amore della Pentecoste, viveva in concordia nella letizia e semplicità di cuore (cf Atti 2,46). La semplicità è totale carità, splendore di verità, amore di comunione, disinteresse nel donare, accortezza nel respingere il male e furbizia nell’operare il bene. Soltanto il sapiente possiede questa virtù evangelica. Lo sciocco, invece, è doppio, egoista, invidioso, ambiguo, malizioso e malevolo. La semplicità è sintesi armoniosa e feconda di perfezione. Dio è semplicità assoluta perché è sintesi di ogni perfezione.

Il semplice è beato perché possiede il tesoro più prezioso e amato: la divina sapienza. La semplicità, come anche la chiarezza, è dono dello Spirito. Semplicità e chiarezza sono qualità che si integrano tra loro. Scaturiscono dalla verità e la costruiscono. Il semplice è l’asceta che tende a raggiungere l’essenziale delle cose e ne diffonde la luce e la fragranza. Il semplice, con la sua intelligenza intuitiva e chiara, opera in profondità più che in apparenza. La chiarezza gli dà uno sguardo limpido e trasparente, la verità lo immerge nella luminosità della trascendenza, egli scruta la realtà con gli occhi di Dio e la creazione con lo sguardo del Creatore. Sulla linea di Marta e Maria, il semplice ricerca, con tutte le forze, il valore irrinunciabile dell’unum necessarium che è, innanzitutto e soprattutto, la ricerca del Regno di Dio e della sua giustizia, perché il resto sarà dato in sovrappiù (cf Mt 6,33). Sulla via della semplicità, il credente progredisce e porta frutti di bene e di bellezza, perché si mette sulla via della Provvidenza e dell’abbandono in Dio. La semplicità è l’atteggiamento dei miti delle Beatitudini, cioè di quelli che possederanno la terra.

La ricerca della verità nella semplicità non è facile. Essa, infatti, proprio perché cerca e desidera soltanto la verità, non può che seguire l’itinerario della croce. È insieme scienza e sapienza della croce e conduce sempre al martirio. Non, però, a un martirio di fallimento e di disonore, ma al martirio di vittoria e di gloria.

Dinanzi alle mille tensioni e alle innumerevoli questioni che ci investono drammaticamente giorno dopo giorno, si esigono risposte chiare che fanno emergere la verità in un contesto di chiarezza e di semplicità. Talvolta, però, le risposte non arrivano, e allora bisogna attendere pregando come Gesù al Getsemani. Il vero credente, che vive nella semplicità evangelica, sa attendere con spirito di pazienza e il cuore ricolmo d’amore. Solo allora le angosce, generate dalle torbide tortuosità diaboliche, si risolveranno in mistica profezia di semplicità evangelica come risposta luminosa offerta all’uomo spirituale che vive il suo impegno nella verità della carità, nella libertà di spirito e nell’umiltà di cuore.

 

Giuseppe Liberto

 

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